Lo scorso 1° marzo sono stati presentati i dati del Programma Nazionale Esiti 2020 relativi al 2019.

Giovanni Baglio, coordinatore delle attività PNE di Agenas, fa notare che «in qualche modo, il 2019 fotografa la situazione prima della pandemia e trovo sia importante ripartire proprio da lì per capire dove eravamo alla luce di ciò che è successo, ma anche per capire ciò che è successo alla luce di ciò che eravamo».

È infatti innegabile che, pur un programma incentrato sull’attività ospedaliera, il PNE valuta al proprio interno alcuni parametri che parlano indirettamente anche della gestione territoriale di alcune patologie.

Il PNE e il territorio

Le ospedalizzazioni evitabili sono senza dubbio un campanello d’allarme rispetto alla capacità del territorio di rispondere in modo adeguato alle esigenze di salute dei pazienti. Vediamo quali sono gli indici già presenti nel PNE che possono in qualche modo parlare della medicina territoriale. Uno è il “tasso di ospedalizzazione per complicanze a breve e lungo termine del diabete”. Questo indice è diminuito da 0,47×1000 del 2012 a 0,38×1000 del 2019.

«Tuttavia, si evidenziano aree del Paese in cui questo tasso è decisamente superiore alla media nazionale e altre in cui ci sono territori che si discostano dalla media regionale», ha sottolineato Baglio. Ciò avviene non solo in Puglia, quindi a Sud del Paese, ma anche in Emilia-Romagna, Veneto, Lombardia e Piemonte, comunemente pensati come territori dal sistema sanitario sano e attento (vedi chart 1).

chart 1

L’ospedalizzazione per complicanze del diabete può essere considerata inappropriata, perché questa patologia dovrebbe essere adeguatamente seguita dai medici di territorio e tenuta sotto controllo. Lo stesso si può dire per i ricoveri per riacutizzazione della BPCO.

«Se è vero che questa patologia risente, per esempio, dell’inquinamento ambientale, il che può far aumentare gli eventi acuti, lo è anche che dovrebbe essere ben gestita sul territorio», ha ripreso Baglio. In questo caso, a livello nazionale il tasso di ospedalizzazione è sceso dal 2.35×1000 del 2012 al 1,82 del 2019, ma le differenze tra Regioni e all’interno della stessa Regione sono notevoli, con molti casi di picchi massimi fuori scala. Ecco alcuni esempi: Puglia 4,43 x 1000; Liguria 3,34 x 1000; Toscana 3,18 x 1000 (chart 2).

chart 2

«Queste sono tutte patologie traccianti che ci permettono di valutare la qualità della presa in carico territoriale. Anche la reospedalizzazione per tumore della mammella e la mortalità a un anno per patologia cardiocerebrovascolare rivelano una inadeguata gestione territoriale delle post acuzie».

Dati importanti, che individuano aree del Paese, ma anche mediche, che necessitano di essere maggiormente rinforzate. La pandemia ha infatti mostrato in tutto il suo terrore le mancanze del territorio, non dovute a incapacità insite alla medicina del territorio, ma semmai a una errata programmazione e gestione delle risorse. Il tema è tanto importante che per i futuri PNE l’Agenas e l’Istituto Superiore di Sanità collaboreranno per identificare dei nuovi indici, capaci proprio di valutare i territori e i PDTA.

Nel frattempo, il Ministro della Salute, Roberto Speranza ha evidenziato: «questa pandemia ha sottolineato l’importanza di riformare il SSN in una fase espansiva: più risorse e usate meglio. Il PNE è uno strumento importante perché permette di capire dove si è, fondamentale per capire dove andare».

La nuova edizione del PNE

Il PNE 2020 presenta ancora più indicatori rispetto all’edizione precedente: ora sono 177, suddivisi tra indicatori di esiti e processi assistenziali (72), volumi di attività (75) e tassi di ospedalizzazione (30). Nove le aree cliniche coinvolte: cardio e cerebrovascolare, digerente, muscolo-scheletrico, pediatrico, ostetrico e perinatale, respiratorio, oncologico, urogenitale e malattie infettive.

«I dati di questo PNE confermano un graduale miglioramento della qualità delle cure a livello nazionale su tutte le aree cliniche analizzate», ha dichiarato Domenico Mantoan, direttore generale di Agenas. «C’è ancora da lavorare per superare alcune criticità quali la frammentarietà dell’assistenza ospedaliera, nonché per limitare le disomogeneità di prestazioni presenti sia a livello interregionale sia intraregionale».

La cosa interessante è che il miglioramento evidenziato nel 2019 interessa tutte le regioni in maniera trasversale, nonostante ci siano ancora sacche di inappropriatezza, che non rispettano per esempio le soglie di volumi individuate dal decreto ministeriale 70 del 2015, “Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera”.

Il coordinatore Baglio ha letto i dati del PNE 2020 in quattro differenti direzioni: frammentazione della casistica per patologie su cui la letteratura indica una stretta correlazione tra volumi e salute; tempestività dell’accesso alle cure; inappropriatezza delle cure; ospedalizzazione evitabile. Di questo ultimo aspetto abbiamo già sottolineato l’importanza all’inizio dell’articolo.

Frammentazione della casistica

Il sopra citato DM 70 ha fissato degli standard da rispettare dalle realtà ospedaliere, basati sull’evidenza.
Ciò che nel tempo si sta dimostrando è che per alcune aree cliniche, in particolare quella chirurgica, ma non solo, un certo volume di interventi effettuati all’interno di una stessa struttura ospedaliera è precondizione per ottenere buoni risultati. Baglio ha portato alcuni interessanti esempi.
Il primo è il bypass aorto-coronarico isolato, la cui soglia di volume è indicata in 200 interventi l’anno per struttura complessa.

«Il volume di attività per questo intervento è in costante diminuzione dal 2012, essendo arrivato a 14185 nel 2019. Questo fenomeno è ascrivibile all’avvento e diffusione di procedure meno invasive, come l’angioplastica coronarica.
Balza però agli occhi che il numero di strutture che esegue questa procedura non si è contratto, il che significa che c’è una frammentazione della casistica. Delle 109 strutture che effettuano bypass coronarico isolato, solo 20 arrivano alla soglia prevista dal DM 70, mentre ce ne sono 19 che non superano i 50 casi l’anno. La maggioranza delle strutture si attesta su volumi compresi tra 100 e 150».

I margini di miglioramento sono quindi ampi. C’è da aggiungere che per questo intervento, probabilmente, la soglia del DM 70 può essere modificata al ribasso, perché l’intervento è più semplice oggi si un tempo, ma comunque si può parlare di frammentarietà.
Altro esempio, l’intervento chirurgico per tumore alla mammella. Anche in questo caso, il DM 70 fissa una soglia minima di volume di attività: 150 casi l’anno.

Interventi per tumore alla mammella

«Per questa procedura si osserva che all’aumentare del volume di attività diminuiscono i reinterventi a 120 giorni sulla paziente. Rispettare la soglia è quindi molto importante.
I dati del PNE 2020 mostrano un miglioramento complessivo, ma solo 136 strutture complesse superano la soglia prevista, alle quali si possono aggiungere ulteriori 16 che effettuano più di 135 casi l’anno.
Il numero di strutture che però esegue meno di 10 interventi l’anno è notevole, pari a 581».

Per riassumere, 1/3 degli interventi è sotto soglia. Questo è sicuramente un aspetto su cui lavorare. Da considerare che esistono Breast Unit che si suddividono tra più ospedali: questo modifica in qualche modo la qualità degli interventi? Le considerazioni da fare sono quindi molte.

La dottoressa Marina Davoli, direttore del Dipartimento di Epidemiologia del SSR laziale, evidenzia addirittura come la qualità degli esisti sembri sempre più connessa anche al volume di interventi condotti all’interno di una stessa Unità Operativa, fino ad arrivare al livello del singolo professionista.
Un fatto già noto, tanto che in altri Paesi, così come in alcune strutture italiane, si fanno audit di esito anche sul singolo professionista.

Questo è un ambito di miglioramento del PNE: se lo strumento vuole continuare a stimolare il confronto positivo e la competitività costruttiva tra le varie realtà sanitarie, è importante che assuma anche questa dimensione. Strumento per arrivare a questo sviluppo, le SDO.

Tempestività di accesso alle cure e appropriatezza

Esempio magno è l’intervento entro le 48 a seguito di frattura del femore. Interventi effettuati successivamente determinano morbosità ai polmoni, alle cure e ulteriori comorbidità e aumento della mortalità.
Per il DM 70 il 60% della casistica deve essere trattata entro le 48 ore.
In Europa questa percentuale è già stata portata a 90%.

chart 3

Dal 2012 al 2019 il numero di strutture che rispetta la soglia è decisamente aumentato, arrivando al 66,7%, ma ci sono realtà regionali decisamente sotto soglia.
È doveroso evidenziare che ci sono però altrettante realtà regionali in cui la soglia si avvicina al 100%.

Veniamo ora all’ultima direzione di analisi, l’inappropriatezza, intesa come erogazione di procedure senza chiare indicazioni cliniche.
Le due aree d’intervento comunemente prese a esempio sono il ricorso al taglio cesareo primario e la tonsillectomia.
Nel primo caso, il Dm 70 indica una soglia massima del 25% per le maternità più grandi e del 15% per le più “piccole”.

Secondo l’OMS, questa soglia dovrebbe essere del 15% per tutti i punti nascita, indipendentemente dalla dimensione. A livello nazionale siamo arrivati a un 22,75%, il che indica un abuso della procedura.
Il grafico evidenzia una ampia disparità territoriale (chart 4).

chart 4

Per quanto riguarda la tossilectomia, c’è stata una riduzione dell’intervento dal 2,6‰ del 2012 al 1,8‰ del 2019. Solo nell’ultimo anno c’è stata una riduzione degli interventi di 7.000 unità, tutti nell’ambito pediatrico.
Come per gli altri esempi riportati, c’è ancora una ampia variabilità territoriale che deve essere migliorata (chart 5).

chart 5

L’evoluzione del PNE

Se il PNE è uno strumento importante di autovalutazione delle diverse strutture sanitarie, volto al miglioramento continuo e basato su numeri e audit, è anche uno strumento che può guidare i decisori politici nelle loro scelte.

Per poter essere utile a tutto il SSN, e non solo alla sua componente ospedaliera, il PNE deve evolversi.
Ecco, dunque, che durante la presentazione dei dati sono state date anche indicazioni rispetto a come crescerà questo Programma.
Il primo punto riguarda lo sviluppo di nuovi indicatori, basati sui dati delle SDO, ma anche di indicatori che parlino del territorio, per i quali i dati delle SDO dovranno integrarsi con altri dati, come per esempio la farmaceutica territoriale, ma non solo.

L’idea è di intensificare anche i programmi di audit, perché possano sostenere l’adozione di modelli organizzativi vincenti e buone pratiche a livello locale. Maggior peso verrà dato anche alle attività di ricerca, è innegabile che l’esperienza Covid-19 avrà un suo peso nelle decisioni future relative anche al PNE.

Da ultimo, ma non per importanza, ISS e Agenas hanno avviato un iter per migliorare la comunicazione dei dati del PNE, perché possano essere consultabili in modo semplice da tutti, anche dal singolo cittadino che qui trova indicazione di quali strutture preferire a seconda dell’area medica di interesse. Parola chiave di questa evoluzione è friendly.

Stefania Somaré