Salute globale e centralità dei dati

La visione olistica One Health richiama il concetto di modello sanitario basato sull’integrazione della salute umana, di quella animale e di quella dell’ecosistema, legate tra loro in modo indissolubile. L’approccio One Health è fondamentale per il raggiungimento di un obiettivo di salute globale, poiché affronta i problemi analizzati nella loro interazione e negli effetti che producono.

In questo quadro, la gestione efficace dei big data gioca un ruolo essenziale nel proporre direzioni future e un bilanciamento tra rispetto della privacy individuale e interesse della comunità. Di questo e altro si è parlato in occasione del webinar “Global Health, Policy, Security and Ethics” organizzato da Big Data in Health.

L’avvento della pandemia da Covid-19 ha rappresentato un evento imponderabile e di portata così significativa da costringere i sistemi sanitari ad un radicale ripensamento e ad una tempestiva riorganizzazione. Il Covid-19 ha evidenziato la centralità dei dati, a partire da quelli di tracciamento.

«La Regione Lazio in questo si è distinta positivamente, trasformando con l’avvento del Covid-19 l’unica piattaforma regionale per le visite specialistiche nella piattaforma di tracciamento dei tamponi e, quindi, dei vaccini», ha evidenziato Lorenzo Sornaga, dirigente responsabile Area Sanità e Sistemi Centrali, Lazio Crea, in apertura dei lavori.

Un altro elemento su cui puntare è il fascicolo sanitario 2.0, che consenta di mettere al centro il dato. Già prima dell’introduzione del green pass, la Regione Lazio aveva creato un suo certificato vaccinale. Questa scelta aveva incrementato in modo inaspettato il numero di accessi al fascicolo sanitario elettronico, dimostrando con ciò l’apertura del cittadino nei confronti dell’innovazione tecnologica.

«La sfida del è l’occasione per cambiare il modello sanitario dal punto di vista dell’innovazione; tuttavia, il rischio è che non ci sia la maturità da parte di tutti gli attori coinvolti, che devono essere parte attiva all’interno di questo progetto di rinnovamento».

Dati, una stima sui volumi

Analizzando il problema dati, ci si trova di fronte ad una realtà inimmaginabile. Se si ipotizza che un paziente ricoverato ha in media 8 giorni di degenza, questo si traduce in circa 80 Megabyte di dati; un paziente chirurgico raggiunge i 400 Megabyte; un paziente cronico gestito a livello ambulatoriale ne produce circa 80 su base annuale.

Posto che un ospedale di medie dimensioni dispone di 300 posti letto, questo si traduce in un accrescimento di circa 18 Terabyte annui del proprio fascicolo informatico. Considerando inoltre che i dati di un paziente vengono mantenuti per tutta la vita dello stesso, il numero di informazioni diventa veramente ragguardevole.
I dati dunque ci sono, e sono moltissimi.

«La vera sfida è fare in modo che siano interoperabili e condivisi dalle diverse figure cliniche. Il fascicolo sanitario elettronico sta evolvendo verso un fascicolo 2.0, rappresentato più da dati che parte documentale; uno strumento questo al quale potranno accedere i pazienti, i medici, ma anche le industrie farmaceutiche, le quali potranno fare studi e trial clinici, tutto ciò, ovviamente, nel rispetto della privacy», ha osservato Paolo Colli Franzone, Presidente dell’Istituto per il Management dell’Innovazione in Sanità, IMIS dell’Università degli Studi di Torino.

Per quanto riguarda, più in particolare, i vaccini anti-Covid, una parte importante è stata rappresentata dai pre-trial clinici effettuati sui dati. Si sta andando, quindi, verso il Digital Twin, e cioè la possibilità di arrivare ad avere, in un’unica fonte, tutti i dati del paziente, la sua realtà clinica, il che porterà a un miglioramento della medicina predittiva e di precisione.

Approccio One Health anche nella gestione dei dati

Occorre avere una visione One Health per la salute, perché la salute dell’uomo va gestita unitamente a quella di animali e ambiente. A livello internazionale, la raccolta dei dati non è limitata alla salute umana ma si occupa anche di ambiente e sostenibilità, in linea con quanto previsto anche dalle direttive Unesco di cui soltanto una si occupa di salute umana mentre le altre si focalizzano su salute e benessere animale e ambientale.

Il problema della gestione dati in Italia, tuttavia, permane: nonostante la spinta propulsiva del Covid, ci si scontra con infrastrutture non adeguate e con un capitale umano non preparato.

«L’Unione Europea ha detto che i dati vanno condivisi, ma non ha indicato le modalità e ogni Stato si sta organizzando singolarmente. Occorre agire sulla formazione sia dei data provider che dei data user; altresì, occorre agire sull’abbattimento dei sylos e creare una maggiore comunicazione tra il mondo medico che sta in corsia con il mondo medico che fa ricerca, altrimenti sarà impossibile risolvere i problemi rilevanti», ha sottolineato Marilù Chiusano, professore di Biologia Molecolare presso l’Università degli Studi di Napoli, Federico II.

Le lezioni apprese dalla pandemia e l’importanza dell’industria farmaceutica

«La pandemia ci ha insegnato che la salute è al centro dell’economia, della società, della vita collettiva. Senza salute non solo non c’è sviluppo economico, ma non c’è neppure vita sociale», ha esordito Roberto Triola, capo area Trasformazione Digitale di Farmindustria. Ma la salute delle persone non può prescindere dalla disponibilità dei farmaci, di cui l’Italia è tra i primi produttori europei insieme alla Germania. L’85% della produzione è destinata alle esportazioni; ogni anno vengono investiti 3 miliardi di euro di cui 1,6 in ricerca e sviluppo e 1,4 in produzione.

L’industria farmaceutica rappresenta un asset strategico per il paese, basti pensare che nell’ultimo anno ha registrato una crescita del 16%, a fronte di una media del 3% degli altri settori. Gli investimenti in studi clinici nel 2020 sono stati pari a 700 milioni di euro; per ogni euro investito dall’industria, il sistema sanitario ne risparmia 2,77 euro; 2,88 euro per le malattie rare e 3,06 per l’oncologia.

Le direttrici del futuro: One Health e digitale, verso la One Digital Health

La salute però è un concetto ampio che riguarda tanto la vita degli esseri umani, quanto quella degli animali e dell’ambiente. È il concetto di One Health che evoca un omnicomprensivo ecosistema di salute globale che ci spinge ad affrontare in modo integrato tra le varie discipline pericoli come lo sviluppo di fenomeni di antibiotico-resistenza. La pandemia, però, ci ha insegnato anche che la salute del XXI secolo è digitale.

«La Digital Health, o meglio ancora la connected healthcare, si pone in modo olistico, attraverso le tecnologie dell’informatica e delle telecomunicazioni, a cavallo tra i bisogni di salute dei pazienti e di benessere di tutti i cittadini e persegue l’obiettivo di migliorare gli esiti di salute e la vita quotidiana di ciascuno, migliorando anche aspetti di efficienza, precisione e personalizzazione nel più vasto ecosistema salute», ha proseguito Triola.

La presenza pervasiva della Digital Health nella vita quotidiana è stata resa evidente dalla pandemia: l’emergenza ha determinato un’impennata nella progettazione e commercializzazione di app e sensori indossabili per il monitoraggio a distanza dei pazienti.

«Dall’integrazione tra queste 2 sfere nasce il paradigma della One Digital Health, che porta con sé nuove opportunità di inte(g)razione tra dati legati ai contesti: umano, veterinario, e ambientale. Questo si traduce nell’esigenza di raccogliere ed elaborare in modo sistematico dati digitali interconnessi e standardizzati, che siano non solo big, ma anche smart e multidimensional.

Questi dati sono infatti l’input per la costruzione di set di indicatori legati ad aspetti che spaziano dalla medicina veterinaria alle dinamiche industriali, e che pertanto richiedono un’opera di comparazione e armonizzazione, possibile grazie all’Intelligenza Artificiale e al sistema di interconnessioni che caratterizza le dimensioni umana, veterinaria e ambientale».

La pandemia come spartiacque

L’esperienza della pandemia Covid-19 rappresenta un momento di discontinuità, e non solo in termini tecnologici, uno spartiacque tra un ‘prima’, fatto di anni di sperimentazioni e progettualità frammentate, e un ‘dopo’, dove le sfide saranno soprattutto in termini di governance, capacità di ricerca, integrazione, interoperabilità, diffusione di competenze.

«Nel PNRR ci sono ottime iniziative singole di digitalizzazione, dal finanziamento della telemedicina alla digitalizzazione dei pronto soccorso passando dal potenziamento del Fascicolo Sanitario Elettronico e dal sistema informatico del Ministero della Salute; ma il punto è che sarà fondamentale imparare a gestire in modo nuovo il sistema salute, passando da una somma di best practice a una visione strategica di un ecosistema digitale integrato della salute», ha concluso Triola.

L’esperienza dell’Ospedale San Raffaele

«Le aziende che avevano già prima della pandemia un digital footprint forte hanno risposto meglio all’emergenza Covid», ha evidenziato Veronica Jagher, Director Industry Solutions Health per Microsoft. L’Italia, tuttavia, è fanalino di coda nelle classifiche UE per digitalizzazione, un problema che interessa non soltanto i clinici, cui verranno richieste crescenti competenze, ma anche i cittadini.

Basti pensare che a livello di E-health competencies, queste sono detenute appena dal 4% dei medici di medicina generale e dagli specialisti. Inoltre, soltanto il 12% dei cittadini è consapevole di aver utilizzato l’FSE almeno una volta nella propria vita.

«Da marzo 2020 presso l’Ospedale San Raffaele stavamo già facendo sperimentazione per l’utilizzo dell’intelligenza artificiale per l’uso delle immagini. Un oncologo ci ha contattato per capire se l’utilizzo dell’AI potesse aiutare anche nella battaglia al Covid-19.

È iniziata così una raccolta dati per sviluppare un sistema predittivo che consentisse, in 30 minuti, di comprendere l’evoluzione del Covid in termini di gravità ai pazienti che accedevano in pronto soccorso sulla base di alcuni parametri, così da comprendere se fosse sufficiente monitorarli a casa o dovessero essere ospedalizzati. Questo meccanismo ha consentito di ridurre di circa il 20% le ospedalizzazioni, riducendo il congestionamento e generando un risparmio per l’SSN», ha illustrato Jagher.

Direttrici per il futuro

«Per raggiungere una nuova normalità digitale occorre puntare su 4 direttrici», ha ricordato Triola: i big data, condivisi e interoperabili con sistemi che consentano di abilitare il paradigma della Value Based Healthcare; piattaforme e nuovi servizi digitali, costruendo un ponte tra medicina ospedaliera e territoriale; open innovation e ricerca, volta a snellire i processi burocratici e avviare in tal modo la sperimentazione clinica digitale anche al di là del contesto emergenziale; nuove competenze digitali, che includano un aggiornamento professionale per imprese, SSN, caregiver e pazienti.

Elena D’Alessandri