Dieci punti da mettere subito in pratica proposti da Salutequità.
Lo scorso dicembre Salutequità ha condiviso con gli stakeholder dieci punti programmatici che permetterebbero di rilanciare da subito il SSN e di renderne più accessibili le prestazioni. Il primo punto riguarda il riparto che le Regioni fanno delle risorse destinate al SSN, che secondo il decreto del 30 dicembre 2022 dovrebbe essere così diviso: 98,5 % in base alla popolazione residente e alla frequenza dei consumi sanitari per età, lo 0,75% in base al tasso di mortalità della popolazione e lo 0,75% in base all’incidenza della povertà relativa individuale.
Importante tenere poi conto anche di livello di bassa scolarizzazione e tasso di disoccupazione della popolazione. Secondo Salutequità, sarebbe utile aumentare la percentuale di risorse da distribuire all’incidenza della povertà relativa individuale, e degli altri fattori che possono favorire un accesso difficile alle risorse sanitarie. Ma come? Aumentando la quota di finanziamento condizionata alla verifica positiva da parte del livello centrale degli adempimenti LEA nelle Regioni e quelle per gli obiettivi di piano sanitario nazionale. Essenziale, poi, rilanciare la Programmazione sanitaria, integrandola a quella sociale, perché i due ambiti sono tra loro interconnessi.
Nonostante la legge di fondazione del nostro SSN, numero 833 del 1978, preveda un rinnovo triennale del Piano Sanitario Nazionale, l’ultimo aggiornamento risale al biennio 2006-2008. Una situazione che deve cambiare, secondo Salutequità e data la latitanza di 15 anni, è essenziale anche riformarne la metodologia di definizione, la verifica degli obiettivi e l’erogazione dei relativi fondi.
Da ultimo, sarebbe necessario istituire presso la Presidenza del Consiglio un Dipartimento per l’integrazione sociosanitaria degli interventi a favore della persona. Il terzo punto riguarda il rinforzo del controllo centrale del Ministero nei confronti delle azioni regionali, senza toccare l’autonomia regionale nelle competenze sanitarie. Non è infatti raro che, a fronte di una richiesta di implementazione da parte del Ministero, le Regioni tardino negli adempimenti, creando poi realtà a macchia di leopardo lungo lo stivale.
Contestualmente, potrebbe essere utile revisionare il sistema degli adempimenti LEA e garantire il coinvolgimento degli stakeholders nella fase di definizione, implementazione e monitoraggio delle politiche sanitarie. Sempre parlando di LEA, il quarto punto chiede che vi sia un aggiornamento annuale. Per facilitarlo, occorre snellire la procedura stessa. Salutequità suggerisce che sia nominata un’apposita Commissione Nazionale e che si coprano i ruoli scoperti nelle varie aree assistenziali, organizzative e tecnologiche. Che dire, invece, del contrasto alle liste d’attesa?
Per ottenere dei risultati, il monitoraggio dei tempi di attesa deve essere parte integrante del Nuovo Sistema di Garanzia dei LEA e ci dovrebbero essere risorse statali vincolate al miglioramento del problema. Non da ultimo, bisogna che la prenotazione di una visita o un esame venga effettuata contestualmente alla prescrizione dello stesso, così da garantire ai pazienti tempi di attesa congrui con la propria situazione clinica. Per risolvere il problema delle liste d’attesa è importante anche lavorare per incrementare il numero di professionisti sanitari coinvolti.
Oggi mancano all’appello 20-30mila medici e almeno 65.000 infermieri, non perché non ne formiamo abbastanza, ma perché spesso si trasferiscono a lavorare all’estero, dove le condizioni di lavoro sono decisamente più attrattive. Da qui, l’esigenza di rendere il nostro SSN più attraente. Altra sfida della medicina moderna è la gestione delle cronicità, patologie che se trascurate e mal trattate generano costi sanitari non indifferenti, sia per spesa farmaceutica che per uso degli ospedali.
I suggerimenti di Salutequità non tralasciano quindi la prevenzione e la presa in carico della Cronicità, con la richiesta di implementare il Piano Nazionale delle Cronicità da parte di tutte le Regioni che non lo hanno ancora istituito. Ma non basta. Importante anche fare in modo che i professionisti coinvolti collaborino tra loro nella presa in carico dei pazienti cronici. L’ottavo punto riguarda la distribuzione del digitale: tra il 2019 e il 2021, causa Covid, il Ministero della Salute ha mappato 369 esperienze di telemedicina, con enormi differenze tra le Regioni, basti citare qualche numero: 66 in Lombardia e 3 in Friuli-Venezia Giulia.
Per rendere questa innovazione più equa, Salutequità suggerisce di aggiungere ai LEA il Livello Essenziale di Assistenza Digitale (LEAD), stanziando poi risorse specifiche e finalizzate. Vanno inoltre superati alcuni limiti normativi. Gli ultimi due punti riguardano l’assistenza farmaceutica e la riduzione del divario infrastrutturale. Nel primo caso Salutequità suggerisce di ridurre i tempi nazionali di autorizzazione all’immissione in commercio e di rimborso a carico del SSN, anche attraverso la definizione di veri e propri standard di servizio che l’AIFA dovrà garantire, ma anche di avviare un percorso per superare i silos di budget e di abrogare i Prontuari farmaceutici regionali vincolanti.
Per quanto riguarda il divario infrastrutturale, occorre semplificare le procedure per l’accesso ai fondi dell’Art.20 della L. 67/1988 – che va rifinanziato – per superarne le difficoltà di utilizzo da parte delle regioni e implementare il PNRR in tutte le Regioni e nei tempi previsti.
Tonino Aceti, presidente di Salutequità, è certo che «rilanciare e ammodernare il SSN è possibile sin d’ora, attivando una serie di leve e mettendo in campo una serie di azioni urgenti che per troppo tempo sono state rinviate.
La leva del finanziamento, della programmazione e della valutazione, per esempio, potrebbero essere usate molto meglio da parte del livello nazionale, come pure il livello regionale dovrebbe impegnarsi di più per convergere sui grandi obiettivi strategici nazionali.
Va riletto il principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni, per garantire quell’equità di accesso che serve alle persone e quindi arrivare a processi decisionali non solo partecipati, ma anche tempestivi e soprattutto che siano poi realmente messi a terra per produrre i cambiamenti necessari. Per questo Salutequità, nel suo primo summit ha voluto contribuire a mettere in fila, a fronte delle maggiori criticità del sistema, le leve per il cambiamento e la loro soluzione».