Focus sull’intelligenza artificiale di nuova generazione al 124° congresso SIMI.
ChatGPT, che in due mesi dal lancio ha raggiunto 100 milioni di utenti, ha definitivamente portato il concetto di IA anche nelle corsie degli ospedali e nei reparti. In campo sanitario, si stima che il settore dell’intelligenza artificiale passerà dai 15 miliardi di dollari del 2023, a 103 miliardi di dollari entro il 2028 e una sua vasta implementazione potrebbe portare a sostanziali progressi nella diagnostica predittiva, compresa la diagnosi precoce del cancro. Per il presidente della SIMI, Giorgio Sesti, sono tre gli ambiti di immediata applicazione.
Con una lettura di paleopatologia affidata a Francesco Maria Galassi, professore associato di Antropologia all’Università di Lodz (Polonia) e professore a contratto di Anatomia all’Università di Bologna, si è aperto il 20 ottobre al Palacongressi di Rimini il 124° Congresso della Società Italiana di Medicina Interna (SIMI).
Decisamente ampio il programma di eventi e incontri per parlare di futuro “con la barra dritta” per affrontare un presente fatto di “criticità organizzative crescenti” e un “sistema al collasso”. Sono state affrontate tutte le possibili applicazioni dell’intelligenza artificiale e dei big data.
Servono, però, “medici cyborg”, cioè medici con competenze informatiche avanzate, per facilitare e avvicinare le nuove generazioni all’uso di certi strumenti. Negli USA li chiamano “information specialist”, medici specialisti in IA, professionisti in grado di dialogare con gli sviluppatori, di guidarli dando loro delle specifiche, capaci di interpretare i dati e mediare queste conoscenze con gli altri colleghi medici.
Sono figure che in Italia non esistono ancora, benché qualche università si stia attrezzando. Ne è un esempio il corso di laurea MEDTEC in Medicina e Ingegneria Biomedica di Humanitas University in partnership con il Politecnico di Milano.
Oggi, però, la realtà è spaccata in due. Da una parte ci sono i molti medici di vecchia generazione che sono affetti da “algoritmo-fobia”; dall’altra c’è il “pericolo” tra le nuove leve è di una ‘distorsione da automazione’, cioè di una fiducia eccessiva nell’IA che li porti ad appiattirsi sul ‘parere’ della macchina, sacrificando il giudizio clinico.
Per il presidente della SIMI, Giorgio Sesti, sono tre gli ambiti in cui può esserci un’immediata applicazione.
“Sicuramente l’IA consente moltissimo di avere uno sviluppo immediato nel training in chirurgia dove si usa molto la robotica, comprese le microchirurgie.
La robotica richiede simulatori, come accade ad esempio per i piloti degli aerei e le auto da corsa. Si tratta di una realtà, tra virgolette virtuale ma reale, che consente di migliorare il training degli operatori”.
Il secondo campo è squisitamente tecnologico. “Si tratta – specifica Sesti – della capacità che ha l’IA di gestire con degli algoritmi tutta la parte della diagnostica per immagini. In tal senso non bisogna considerare soltanto la classica risonanza o TAC. Infatti, esistono già le prime applicazioni in endoscopia. Noi ne facciamo molta dell’apparato gastrointestinale, dove si può avere un potere di risoluzione delle immagini e di capacità diagnostiche per identificare lesioni precancerose o piccolissime lesioni cancerose ancora in fase subclinica. Può essere applicata anche in altri campi, ad esempio per l’esame alla vescica”.
La terza applicazione (e c’è già la scoperta del primo farmaco) riguarda l’enorme potenziale di calcolo che ha l’intelligenza artificiale nello scoprire nuove molecole farmacologiche.
“L’IA – ricorda Sesti – in pochi minuti fa quello che prima si faceva in anni con una capacità di calcolo che gli informatici dicono essere potentissima, compresa anche la possibilità di fare simulazioni virtuali sull’efficacia teorica delle molecole e quindi di potersi concentrare su quelle selezionate”.
Decisamente più contenuta, al momento, la visione prospettica sulla gestione dei processi ospedalieri.
“L’IA in questi casi non è a mio avviso molto d’aiuto. Anche inserendo al computer la sintomatologia del paziente, l’esame obiettivo e fisico della persona consente di ottenere informazioni dal punto di vista clinico impareggiabili. Potrebbe invece esserlo, ad esempio, sull’interazione dei farmaci. In medicina interna i nostri pazienti assumono otto, dieci a volte dodici molecole farmacologiche. L’IA attraverso un’applicazione, può scovare delle possibili interazioni tra questi farmaci e prevenirle, con un’utilità dal punto di vista del rischio biologico”.
In cardiologia sono due le direttrici di sviluppo. Ne ha parlato Fabrizio D’Ascenzo, ricercatore, cardiologo interventista presso la Divisione di Cardiologia dell’Università di Torino, Ospedale San Giovanni Battista – Molinette.
“Il primo, quello sul quale ci stiamo molto focalizzando è la predizione del rischio, in quanto l’IA cattura delle relazioni spesso non lineari e non causali e questo permette di esplorare e di aumentare in modo importante le relazioni tra variabili (le caratteristiche dei pazienti) ed endpoint come la mortalità, la sopravvivenza libera da infarto o i sanguinamenti maggiori”.
Il secondo è relativo alla semplificazione della medicina. L’IA permetterà di fare una predizione diagnostica attraverso immagini ottenute da esami di facile accessibilità, come l’ecocardiogramma o l’ECG.
Per gli aspetti più tecnici abbiamo sentito Federico Cabitza, professore associato di Informatica presso il Dipartimento di Informatica, sistemistica e comunicazione Università di Milano Bicocca e ricercatore all’IRCCS Galeazzi Sant’Ambrogio relatore della sessione “L’Intelligenza Artificiale in Medicina Interna”.
Per Cabitza è un buon segno che si stia riducendo il numero di nuovi studi che confrontano sistemi IA ed esseri umani e che aumenta contestualmente il numero di nuovi studi che confrontano setting clinici dal case mix equivalente e che differiscono solo per lo strumento IA utilizzato, soprattutto se si tratta di studi controllati (a settembre 2023 sono 84).
Inoltre, Cabitza sostiene che la sola accuratezza non sia sufficiente per valutare gli strumenti di IA in medicina, principalmente per tre motivi: replicabilità (l’accuratezza sui dati di addestramento spesso non si traduce in prestazioni simili nel mondo reale, e questo evidenzia la necessità di una rigorosa validazione esterna su diversi set di dati real world); affidabilità dei dati (l’accuratezza dipende fortemente dalla qualità dei dati di addestramento e delle etichette umane, che spesso sono rumorose, parziali o inaffidabili.
Un suo studio dimostra che sono necessari più valutatori esperti per ottenere etichette di riferimento di qualità adeguata); validità (l’accuratezza da sola non coglie la reale utilità clinica e l’impatto sui risultati clinici).
Altri parametri sono quindi necessari, quali la robustezza in condizioni variabili, la calibrazione del modello e l’utilità clinica anche in termini di costo-efficacia. A tale scopo, e per eseguire una valutazione rigorosa dell’IA in medicina, Cabitza ha proposto un tool online gratuito e uno strumento visivo per valutare la robustezza del modello e il suo impatto sul processo decisionale, da affiancare all’aderenza alle migliori linee guida, e all’utilizzo di una combinazione di metriche che vadano oltre la semplice accuratezza o l’AUC.
“L’IA di nuova generazione – ha anche precisato il professor Cabitza – è basata sui dati e sviluppata con tecniche di apprendimento automatico. E questa non è ancora diffusa negli ospedali italiani, anche se è già integrata in tanti dispositivi medici. I medici che hanno usato queste applicazioni nell’arco degli ultimi 5-6 anni, l’hanno fatto finora solo nell’ambito di studi prototipali, sperimentali, a scopo di ricerca”.