Specializzazione: MIUR ripristina l’esame per chi è assunto con Decreto Calabria

Tra i contrari vi è chi vede nella decisione un’azione per garantire alti standard formativi, chiedendo comunque che si faccia una riforma organica della formazione specialistica.

Tra le risposte individuate nel tempo per rispondere al calo del personale sanitario, anche in ambito medico specialistico, la legge n. 145 del 2018 (Decreto Calabria) norma, con l’articolo 1 comma 548-bis,la possibilità da parte di un ospedale di assumere uno specializzando a partire dal suo secondo anno di specializzazione.

Una volta assunto il giovane medico in formazione può essere inviato a lavorare in uno qualsiasi degli ospedali facenti parte della rete formativa dell’Università in cui sta studiando. Il che significa anche quelli periferici e a bassa intensità.

Questo non sarebbe un problema, se il MIUR non avesse inviato lo scorso luglio un documento agli Atenei italiani per invitarli a ripristinare l’esame di passaggio al secondo anno, inizialmente sostituito da una certificazione delle competenze acquisite durante la parte pratica della formazione.

Il testo riporta che “le Università, nell’ambito della loro autonomia didattica, ed in attuazione della normativa vigente, procedono anche a tutte le incombenze all’uopo previste, compresa la registrazione delle attività formative teoriche sostenute dai medici in formazione specialistica (ai sensi dell’allegato 2 del D.I. n. 402/2017; articolo 7 e articolo 5, comma 5, D.I. n. 68/2015), nonché la relativa valutazione delle stesse. Si ricorda, peraltro, che la valutazione espressa dalle scuole di specializzazione per ogni singolo passaggio di anno confluisce in quello che sarà poi il punteggio finale della tesi di specializzazione che a sua volta conduce al voto finale di diploma, espresso in 70esimi“.
Molti i soggetti coinvolti a non essere d’accordo con questa decisione.

Le reazioni delle associazioni di categoria

Se la prima reazione di Anaao Assomed Giovani è stato di leggere la lettera del MIUR come una invasione di campo da parte delle Università nel percorso di carriera di un giovane specializzando, con timori che gli stessi vengano convinti a non accettare l’assunzione da parte di un ospedale, c’è anche chi cerca di smorzare i toni e di riportare la questione alla qualità della formazione.

Tra questi anche Antonello Giarratano, presidente della Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva, che sottolinea: “contrapporre ospedale e università, alimentando una contrapposizione ideologica tendente a stroncare la funzione per la quale dovrebbe esistere l’Università e svilendo la funzione stessa dell’ospedale, è un errore madornale che vogliamo urlare a tutti. Un percorso formativo di qualità per definizione è sempre composto dalla giusta miscela di teoria/conoscenza e pratica/competenza. Altrimenti si arriva al disastro di oggi”.

Secondo il presidente di SIAARTI, se fosse stato ben applicato, il decreto Calabria avrebbe garantito una formazione di qualità, ma il presupposto è la costituzione di una rete formativa di qualità, il che significa inserire gli specializzandi in ospedali ad alta intensità, per consentire loro di osservare situazioni anche gravi e di sperimentarsi.
Invece, in molti casi, l’offerta fatta agli specializzandi era di lavorare presso ospedali periferici, dove le occasioni di apprendimento sono più scarse… come se gli specializzandi fossero manovalanza a basso costo.

Meglio un esame di competenze che una certificazione “farlocca”

Venendo a mancare una rete effettiva di formazione, il rischio era che il passaggio dal secondo al terzo anno avvenisse sulla base di certificazioni di competenze poco chiare.

Sottolinea ancora Giarratano: “è essenziale mantenere standard elevati per garantire che i medici siano adeguatamente preparati. Nella parcellizzazione formativa attuale, uno specializzando di II o III anno dovrebbe andare a formarsi, con un contratto a tempo determinato che lo vincola, in un ospedale anche periferico, dove non “vedrebbe” mai un neonato, un paziente neurochirurgico, un paziente cardiochirurgico o una procedura di terapia del dolore avanzata o di area intensiva e tanto tanto altro. Per fermarmi solo alla mia specialità.

Con un esame che, secondo un 44 quater scritto francamente in modo poco comprensibile, consisterebbe in una certificazione delle procedure svolte che, in molti degli ospedali dove alcune regioni vorrebbero colmare i buchi, nessuno potrebbe certificare semplicemente perché non le si fanno.
E poi a fine anno, con questa certificazione farlocca, un consiglio di docenti dovrebbe, facendo finta di non sapere che quelle attività non le ha svolte e senza alcuna valutazione anche degli studi e conoscenze acquisite, certificare che si è specialista? A fine anno faremo esami ai medici in formazione con due o tre modalità diverse per chi ha accettato di essere assunto e per chi invece è rimasto nel percorso tradizionale?”.
Insomma, meglio avere un esame uniforme. Secondo il presidente SIAARTI, infine, la sola reale soluzione sarebbe una riforma organica della formazione specialistica.