Quando un paziente viene sottoposto a trapianto d’organo, il rischio di rigetto è senza dubbio quello più grave da tenere sotto controllo perché può determinare la morte del soggetto, o nei casi migliori, la necessità di un secondo trapianto.
Una ricerca portata avanti dall’Università di New York, dall’Università di Torino e dalla Città della Salute di Torino (Nicholas J. Steers, Yifu Li et al. Genomic Mismatch at LIMS1 Locus and Kidney Allograft Rejection. N Engl J Med 2019; 380:1918-1928) ha individuato un gene responsabile proprio del rigetto: si chiama LIMS1 e, quando diverso tra ricevente e donatore, contribuisce in maniera significativa a peggiorare la riuscita del trapianto.
Lo studio si basa sull’analisi di più di 2700 coppie donatore-ricevente di trapianto renale.
Antonio Amoroso, responsabile del gruppo di ricerca di Genetica dei Trapianti dell’Università di Torino e direttore del Servizio di Immunogenetica e Biologia dei Trapianti dell’Ospedale Universitario Città della Salute e della Scienza di Torino, ha spiegato: «grazie a un approccio cosiddetto genomico, vale a dire di analisi di migliaia di caratteristiche genetiche di donatori e riceventi di trapianto renale, si è identificata una combinazione genetica che più frequentemente era presente nei riceventi il cui trapianto era stato rigettato.
Si è quindi compreso che nella popolazione di origine europea il 60% dei soggetti presenta una caratteristica genetica che permette di produrre una proteina (LIMS1 per l’appunto) presente in molti tessuti, compreso quello renale.
Al contrario, il 40% degli individui invece possiede varianti genetiche che non permettono di esprimerla. In caso di trapianto di rene che provenga da un donatore con la variante che esprime la proteina LIMS1, i riceventi che geneticamente non la producono possono riconoscerla come estranea e indirizzare contro di essa una risposta immunitaria di rigetto dell’intero trapianto. Si è infatti dimostrato che i riceventi negativi per la proteina sviluppano – quando trapiantati con reni positivi – anticorpi anti-LIMS1».
Silvia Deaglio, altro autore dello studio, sottolinea le possibili ricadute della scoperta: «due sono le implicazioni più importanti. La prima è utilizzare queste informazioni genetiche per trovare le combinazioni più compatibili quando si selezionano i riceventi da trapiantare.
Già oggi si eseguono i test di tipizzazione tessutale (o HLA) per scegliere quale dei pazienti in lista d’attesa presenti le caratteristiche più simili a quelle del donatore che si rende disponibile. Non è difficile introdurre anche l’analisi di questa caratteristica genetica per migliorare gli abbinamenti e con essi l’esito dei trapianti.
Questo studio, inoltre, ci ha permesso di mettere a punto le analisi di laboratorio per intercettare la presenza di anticorpi contro la proteina LIMS1.
Potremmo dunque utilizzarle per monitorare i trapianti e accorgerci se compaiano questi anticorpi dopo trapianto, casomai prima dei segni clinici di rigetto, in un momento più precoce che renda più efficace la terapia anti-rigetto».
Anche se lo studio si è concentrato sul trapianto di rene, la proteina è espressa anche in altri tessuto: altri studi dovranno essere effettuati per verificare il suo ruolo.
Stefania Somaré