Laser al tulio in Urologia: il primo studio multicentrico

L’uso del laser per intervenire sull’adenoma prostatico consente di ridurre i tempi della degenza, della caterizzazione del paziente e anche i rischi di sanguinamento. Si tratta di una tecnica per cui l’ASST dei Sette Laghi è centro di riferimento, con pazienti che arrivano anche da fuori Regione.

D’altronde nell’uomo questa patologia è seconda solo all’ipertensione: nella fascia d’età 51-60 anni colpisce il 50% dei maschi e la percentuale sale al 90% quando si ha a che fare con la fascia 81-90.

L’iperplasia prostatica benigna dà sintomatologie solo in circa metà dei casi e sono questi i soggetti sui quali occorre intervenire, perché hanno compromessa la qualità della vita. E se la terapia farmacologica non è sufficiente, si può ben passare a qualcosa di più risolutivo, come l’intervento.

Giovanni Saredi, responsabile dell’Urologia dell’Ospedale di Circolo e Fondazione Macchi di Varese, spiega: «nell’uomo l’operazione per iperplasia prostatica benigna, dopo quella per cataratta, è la più frequente. L’indicazione all’intervento non è legata tanto alle dimensioni dell’adenoma, quanto all’impatto effettivo che la patologia ha sulla quotidianità del paziente».

Giovanni Saredi

«Uomini in piena età lavorativa e con uno stile di vita attivo sono potenziali candidati, soprattutto all’intervento con laser che, rispetto alla chirurgia tradizionale, consente di diminuire i giorni di degenza e di cateterizzazione, nonché i rischi di sanguinamento.

Quando eseguiamo un’enucleazione della prostata, siamo in grado di togliere il catetere al paziente il giorno dopo l’operazione e dimetterlo il giorno dopo ancora: un totale di 3 giorni contro i 4-6 richiesti dalle metodiche tradizionali. Anche soggetti in terapia con anticoagulanti o i cardiopatici possono trarre beneficio dall’intervento con laser, date le minori perdite ematiche che comporta».

Per indagare al meglio ciò che accade nel post-intervento dal punto di vista irritativo, partirà il primo studio multicentrico su pazienti operati con il laser al tulio, per il quale l’ospedale ha messo a punto un nuovo protocollo di utilizzo.

«Con il laser al tulio l’operazione non è standardizzata, sono possibili diverse varianti, a seconda della tecnica adottata (vaporizzazione piuttosto che enucleazione), della potenza e delle fibre che si utilizzano.

Attraverso l’analisi dei dati raccolti in circa 10 centri che impiegano il tulio, prendendo in esame tra i 600 e i 700 pazienti in un anno, cercheremo di identificare il miglior tipo di intervento, quello in grado di minimizzare la possibilità di effetti irritativi nel periodo post-operatorio». L’Ospedale di Varese, insieme alla struttura di Ancona, sarà capofila dello studio.

Stefania Somaré