Un modello per monitorare l’arresto cardiaco

Ogni anno, nel mondo, 1 persona ogni 1000 abitanti muore per arresto cardiaco improvviso, evento che da solo rappresenta più del 50% delle morti per patologie cardiovascolari.
In Italia sono vittime di morte improvvisa circa 60.000 persone ogni anno, delle quali il 7% ha meno di 30 anni. In presenza di arresto cardiaco un intervento tempestivo può risolversi in una ripresa del battito e un ritorno alla vita.

Che cosa succede se l’evento avviene nel sonno? Un team di ricercatori dell’Università di Washington ha sviluppato uno strumento capace di individuare quando è in arrivo un arresto cardiaco e di chiamare soccorsi?

In sostanza di tratta di un’app da usare su smartphone o smart speaker, come quelli di Google e Amazon che rileva i suoni tipici dell’arresto, in particolare una respirazione agonica che si verifica quando i livelli di ossigeno nel sangue sono davvero molto bassi.

Questa caratterizza infatti circa il 50% delle persone che vanno incontro ad arresto cardiaco ed è quindi un buon discriminante.
Il sistema consente di sfruttare al massimo le potenzialità degli smart speakers che anche in Italia stanno prendendo piede.
Per sviluppare il sistema, i ricercatori si sono basati sui suoni di respiri agonici reali, registrati nei file del 911 e in particolare ricevuto dal Seattle’s Emergency Medical Services: si tratta di 162 chiamate ricevute tra il 2009 e il 2017.

Partendo da qui e sfruttando diversi tipi di machine learning, hanno sviluppato un dataset di 7316 clips positive: l’app confronta il suono del respiro presente nella stanza con questi esempi e, se trova delle similitudini, cerca aiuto.
Per rendere lo strumento più potente, l’app contiene anche un dataset di 7305 clips negative, ovvero suoni che normalmente le persone fanno quando dormono, come il russare o le apnee da ostruzione.

Per funzionare al meglio, il device deve essere a non più di 6 metri dalla persona.
Lo strumento riesce a riconoscere il 97% dei soggetti con arresto in corso, avendo inoltre un livello di falsi positivi davvero basso, pari allo 0,22%. Ora i ricercatori intendono sviluppare un algoritmo che ne consenta un utilizzo su una popolazione più ampia.
Infine, l’idea è di commercializzare il sistema attraverso uno spin-off universitario.

Stefania Somaré