Valvulopatie complesse, Heart Team riduce la mortalità precoce

Uno studio condotto dai cardiologi dell’Università Cattolica – Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs di Roma dimostra che la presenza di uno Heart Team può fare le differenza nel percorso terapeutico di pazienti con valvulopatie cardiache complesse, riducendone la mortalità.

Francesco Burzotta

Il prof. Francesco Burzotta, responsabile della Unità Operativa Semplice di Trattamento delle Cardiopatie Strutturali della Fondazione Policlinico Gemelli e professore associato di Cardiologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, racconta: «è dal 2014 che le linee guida interne del Gemelli raccomandano il consulto di uno Heart Team per la gestione di pazienti con malattie valvolari complesse.
Le riunioni quotidiane di questo gruppo di specialisti, del quale fanno parte non solo cardiologi clinici, cardiologi interventisti, cardiochirurghi, chirurghi vascolari e anestesisti ma tutti i medici impegnati nell’assistenza a un determinato paziente, come oncologi, ematologi, ginecologi, geriatra, internisti, consentono di prendere decisioni tempestive e di evitare ritardi decisionali.

Le riunioni quotidiane e l’apertura a tutti gli specialisti coinvolti nella cura del paziente sono due caratteristiche peculiari del nostro Heart Team, che ci permettono di tracciare programmi terapeutici su misura, anche in casi veramente difficili.
Quello delle valvulopatie è un campo sul quale puntare l’attenzione, anche a livello organizzativo, poiché si espande sempre più con l’invecchiamento della popolazione.
A disposizione di cardiologi e cardiochirurghi c’è ormai un ampio ventaglio di opzioni di trattamento, dalle tradizionali a quelle di ultima generazione sempre meno invasive, che spesso però devono fare i conti con problemi di sostenibilità».

Lo studio appena pubblicato si basa su informazioni relative a oltre 1000 pazienti ricoverati in Fondazione Policlinico Gemelli per una valvulopatia complessa: caratteristiche cliniche, aspetti ecocardiografici, raccomandazioni di trattamento, rischio chirurgico, terapie effettuate in passato, primi esiti del trattamento. I pazienti presi in considerazione avevano tutti età elevata, rischio chirurgico elevato e comorbidità: nel 50% dei casi c’era anche una cardiopatia ischemica concomitante alla valvulopatia, nel 30% dei casi una malattia renale cronica e nel 9% una patologia oncologica o ematologica.
Le analisi successive avevano l’obiettivo di valutare la mortalità precoce. Grazie al supporto dello Heart Team è stato possibile operare l’80% dei soggetti e ciò nonostante la loro complessità: nel 23% si è effettuato un intervento cardiochirurgico, nel 51% un trattamento percutaneo e nel 6% un trattamento ibrido, ovvero effettuato a 4 mani da un cardiochirurgo e da un cardiologo interventista. La mortalità precoce media è stata del 2.4%.

Se si considerano invece solo i pazienti operati, la mortalità scende al 1.7%, un valore «di molto inferiore rispetto a quanto atteso sulla base dei modelli predittivi usati in tutti gli ospedali e raccomandati dalle linee guida, pari al 5,2% secondo le valutazioni di rischio chirurgico effettuate con il sistema STS-PROM e al 9,7% secondo EuroSCORE II», conclude Burzotta.

Stefania Somaré