La “regola del 3”: l’healthcare tedesco in Italia genera il triplo del valore e 2,9 miliardi di impatto

La residenza dell’Ambasciatore di Germania in Italia Thomas Bagger, Villa Almone, ha ospitato un evento di alto profilo dal titolo: “L’industria health-care tedesca in Italia, impatto, sfide e prospettive”, che ha inteso fare il punto sul valore dell’investimento tedesco nel nostro Paese nel settore pharma e DM, evidenziando, al contempo, i punti di forza e i perduranti nodi da sciogliere. 

Nel corso dell’evento sono stati presentati i risultati di uno studio promosso dalla Camera di Commercio Italo-Germanica (AHK Italien) e dalla Luiss Business School – con il supporto di Bayer, Boehringer Ingelheim, B. Braun, Fresenius Kabi e Merck –  ed illustrati dal professor Ernesto Cassetta della Luiss in una tavola rotonda che ha visto la presenza di numerose personalità italiane e tedesche in rappresentanza delle più diverse istituzioni interessate.

Il valore dell’investimento tedesco in Italia nel settore pharma e DM

La ricerca ha evidenziato come le imprese del settore farmaceutico e dei dispositivi medici a capitale tedesco operanti in Italia siano in forte crescita, con un significativo contributo al PIL secondo la “Regola del 3”: ogni euro investito ne produce tre di PIL e ogni occupato diretto ne genera tre di indotto.

Il valore della produzione di queste aziende ha raggiunto i 5,4 miliardi di euro nel 2023 (circa l’8% del totale nazionale), con oltre 9 mila occupati diretti: un modello virtuoso di integrazione industriale e innovazione tecnologica, che ben rappresenta gli altissimi livelli di collaborazione tra i due Paesi.

Gli investimento e l’effetto moltiplicatore

Il dato centrale dello studio è l’enorme impatto economico complessivo generato da queste realtà, che nel 2023 ha toccato circa 2,9 miliardi di euro, con un effetto moltiplicatore pari a 2,9 e 14 mila unità lavorative attivate lungo tutta la filiera. Un risultato che è frutto di un radicamento stabile, e competitivo, favorito dalla natura familiare delle aziende tedesche e dal loro orientamento di lungo periodo.

Nel periodo 2000-2024 gli investimenti medi annui delle imprese a capitale tedesco sono stati di oltre 260 milioni di euro, di cui circa il 55% destinato a R&D; un dato in crescita di dieci punti percentuali rispetto all’ultimo anno pre-Covid, il 2019, a testimonianza dell’attenzione verso il nostro Paese

L’healthcare tedesco in Italia ha all’attivo oltre 200 sperimentazioni cliniche, con una quota di studi in Fase I e II pari al 53%, un dato quest’ultimo superiore alla media nazionale.

L’Italia, oltre a essere un importante sede produttiva, è , quindi, soprattutto, un centro di competenze e di innovazione cruciale.

Stabilimenti come il polo di Mirandola di B. Braun o il sito Bayer di Garbagnate Milanese, premiato dal World Economic Forum, dimostrano che l’Italia è considerata una sede produttiva e di ricerca di eccellenza.

I nodi critici che frenano il potenziale italiano

Nonostante la solidità del contributo e gli investimenti in ricerca e sviluppo, lo studio evidenzia, purtuttavia, importanti criticità strutturali che ne frenano il potenziale. Ostacoli che mettono a rischio la competitività dell’Italia come sede di nuovi investimenti. «Le criticità sono le solite del nostro Paese, e cioè un sistema burocratico e di regolamentazione eccessivo rispetto a quello che si trova in altri paesi europei» ha affermato il professor Matteo Caroli, Associate Dean for Sustainability and Impact Luiss Business School.

Più in particolare, i nodi critici riguardano:

  • Payback e Procurement: Il meccanismo del payback e le politiche di procurement incentrate sul prezzo più basso non premiano l’industria che investe in ricerca e innovazione, introducendo incertezza circa la remunerazione.
  • Burocrazia e Normativa: è critica la complessità burocratica che rallenta le attività autorizzative e i tempi eccessivamente lunghi per l’avvio degli studi clinici.
  • Coerenza Europea: le iniziative legislative della UE (come la revisione della normativa farmaceutica) rischiano di ridurre la tutela della proprietà intellettuale, imponendo oneri non pienamente compatibili con l’operatività industriale, vanificando parte dello sforzo innovativo.

Verso un cambio di passo: sanità come leva industriale

La conclusione dello studio è un appello chiaro alle istituzioni del nostro Paese: è necessario un cambio di paradigma istituzionale. La spesa sanitaria deve essere considerata una leva industriale strategica, capace di mobilitare investimenti, e non un mero strumento di contenimento della spesa pubblica.

Jörg Buck, consigliere Delegato AHK Italien, ha così sintetizzato la necessità di agire: «Il settore pharma e medtech costituisce da sempre uno dei pilastri delle relazioni economiche tra i nostri due Paesi. Il radicamento delle imprese tedesche del settore in Italia è un motore di stabilità e competitività. Serve investire su questo rapporto, introducendo i necessari cambiamenti a livello regolatorio e di budgeting per non vanificare un enorme potenziale».

Per liberare appieno il potenziale, è fondamentale intervenire urgentemente su: ridefinizione dei sistemi di budgeting, riforma dei meccanismi di payback e procurement, e una profonda semplificazione amministrativa e normativa.

Un appello questo condiviso anche da un’azienda come B. Braun, presente in Italia da oltre 100 anni e oggi partner della maggioranza degli ospedali e delle strutture sanitarie territoriali.

«Siamo felici di contribuire al sistema salute in Italia» ha commentato Oliviero Pelosini, Managing Director e CFO di B. Braun Italia. «Come azienda familiare abbiamo una visione di lungo periodo, integriamo la sostenibilità in ogni nostra decisione e investiamo nel territorio. Nel distretto biomedicale di Mirandola abbiamo un Centro di Eccellenza che produce oltre 10 milioni di dispositivi all’anno destinati all’Italia e all’estero, dove sviluppiamo progetti di ricerca internazionale, generando anche uno spillover tecnologico che rafforza la filiera industriale locale e la sua competitività. Crediamo profondamente nel valore delle competenze italiane e nel dialogo con la comunità scientifica, tuttavia – come mostra lo studio della Luiss Business School – oggi persistono criticità come burocrazia, ritardi autorizzativi, un approccio orientato unicamente al contenimento dei costi e meccanismi come il payback, che generano incertezza e rischiano di frenare un settore strategico e impattare sulla salute dei cittadini. Lavorando insieme – istituzioni, comunità scientifica e imprese in ottica di partnership – possiamo davvero creare valore per il nostro SSN e tutelare al meglio la salute delle persone».

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