Tumore della cervice uterina: ricerca di Enea e Policlinico Gemelli

Sono stati pubblicati sul Journal of Experimental & Clinical Cancer Research i risultati di un importante studio che ha visto coinvolti l’Irccs Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli e l’Enea. Oggetto dello studio, la risposta delle pazienti alle terapie per il tumore alla cervice uterina che rappresenta la quarta forma di tumore nella donna nel mondo.
Grazie alla diffusione del pap test, la maggior parte delle nuove diagnosi è per carcinomi allo stadio iniziale (questo tumore, in fase avanzata, ha un elevato tasso di mortalità).

Lo studio in oggetto ha individuato una firma molecolare, composta da 3 geni (ANXA2, NDRG1 e STAT1) capace di predire la risposta al trattamento radiochemioterapico neoadiuvante comunemente utilizzato per questa patologia negli stadi avanzati.
In futuro questa firma potrebbe quindi consentire di indirizzare al meglio il trattamento, evitandolo nelle pazienti nelle quali non darebbe buon esito.

Prof. Giovanni Scambia

A coordinare lo studio sono stati il professor Giovanni Scambia, ordinario di Clinica Ostetrica e Ginecologica presso l’Università Cattolica e direttore scientifico del Gemelli, la dottoressa Daniela Gallo, dirigente sanitario dell’Università Cattolica e responsabile dell’Unità di Medicina Traslazionale per la Salute della Donna e del Bambino del Gemelli, e la dottoressa Carmela Marino, responsabile della divisione Enea di Tecnologie e Metodologie per la Salvaguardia della Salute. Con loro hanno lavorato clinici, biologi molecolari, radiobiologi, farmacologi, bioinformatici.

Il professor Scambia ha spiegato: «nel nostro Dipartimento, la radiochemioterapia (CRT) neoadiuvante seguita da chirurgia radicale rappresenta l’opzione terapeutica utilizzata con maggiore frequenza nelle pazienti con tumore della cervice localmente avanzato.
Tuttavia, il 30% circa delle pazienti non risponde ottimamente alla terapia e presenta una ripresa precoce di malattia. Queste evidenze cliniche sono state alla base di un ambizioso progetto di ricerca traslazionale volto a identificare potenziali biomarcatori predittivi di risposta nel nostro setting clinico».

Una volta individuata la firma molecolare, un algoritmo di machine learning sviluppato all’interno dello studio identifica la probabilità che la CRT funzioni o meno, basandosi su analisi facili da ripetere nei laboratori ospedalieri.

«Una volta validati su una coorte più ampia di pazienti, questi risultati potrebbero rappresentare un importante passaggio verso l’applicazione di approcci terapeutici personalizzati nel trattamento della malattia.

L’identificazione di biomarcatori molecolari predittivi di risposta alla terapia, cioè caratteristiche oggettivamente misurabili e valutabili, costituisce infatti uno degli obiettivi più importanti della medicina personalizzata.

Determinante ai fini della traslazionalità della ricerca è soprattutto la capacità di trasferire nella pratica clinica i risultati ottenuti in laboratorio, in altre parole di realizzare kit destinati a uno screening rapido e poco costoso».

Stefania Somarè