Al Gemelli impiantato un mini-telescopio in pazienti con maculopatia

Ricorda le eliche di un motoscafo il mini-telescopio galileiano miniaturizzato, messo a punto per restituire almeno in parte la vista alle persone con maculopatia senile. Questa impianto telescopico innovativo è stato impiantato per la prima volta in Italia e tra le prime al mondo, al di fuori del trial clinico registrativo, su tre pazienti (due uomini e una donna, tra 65 e 80 anni), assistiti presso la Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs dal prof. Stanislao Rizzo, direttore della UOC di Oculistica del Policlinico Gemelli e ordinario di Clinica Oculistica all’Università Cattolica, campus di Roma.

«Questo tipo di trattamento», spiega il prof. Rizzo, «è riservato ai pazienti con una forma avanzata di maculopatia. La macula è la parte centrale della retina, il tessuto più nobile e sofisticato del nostro organismo, composto da cellule altamente specializzate, i fotorecettori, che trasformano uno stimolo luminoso, un’immagine, in un impulso elettrico che viaggia dalla retina al cervello, nell’area dove la visione si forma. È la macula che ci consente di vedere i dettagli, di riconoscere i volti dei nostri cari, di vedere i colori e di leggere libri o gli sms sul cellulare. La macula è costituita da 9 strati di cellule diverse; a oggi non siamo in grado di ricostruirla, né di farla rigenerare (per esempio, con le staminali) né di trapiantarla, perché è troppo sofisticata».

La maculopatia è un problema sociale di grande rilevanza nel mondo occidentale e lo sarà sempre di più negli anni a venire, visto l’invecchiamento della popolazione. Nel nostro Paese, è affetto da questa condizione oltre un milione di persone, 200-300.000 dei quali in forma grave.

«Oggi, a guidare la classifica delle principali cause di cecità nel mondo occidentale», sottolinea il prof. Rizzo, «è la maculopatia senile, un processo degenerativo che compare soprattutto dopo i 60 anni. Ne esistono due forme: quella secco-atrofica, a evoluzione più lenta, per la quale non si dispone di terapie al momento (anche se ci sono molti trial sperimentali in corso) e la forma umida, più aggressiva e veloce nell’evoluzione, per la quale da qualche anno sono stati introdotti una serie di farmaci di grande efficacia.
I pazienti affetti da maculopatia spesso lamentano come primo sintomo una difficoltà nella lettura, la distorsione delle immagini, il salto di alcune lettere mentre legge (per esempio, non vede il centro della parola); oppure vedono lo stipite della porta o le mattonelle del bagno deformate».

«Per aiutare questi pazienti ci avvaliamo di sistemi riabilitativi ottici, che permettono a pazienti dotati di buona volontà e di buon senso plastico della retina e del cervello, di sfruttare mediante sistemi telescopici semi-galileiani veri e propri, le parti della macula ancora funzionanti. Il paziente impara a utilizzare questi “telescopi” per cercare di ingrandire l’immagine sfruttando la parte di macula ancora funzionante». Questo fino a ieri.

«La lente intraoculare è un telescopio miniaturizzato che viene impiantato nel corso di un normale intervento di cataratta, al posto del cristallino opaco. Questo sistema telescopico consente di sfruttare la parte di macula ancora funzionante».

Fondamentale per il successo dell’intervento, una buona selezione preoperatoria. «Attraverso questi sistemi telescopici esterni», spiega il prof. Rizzo, «riusciamo a selezionare i pazienti ideali per questo tipo di intervento».

Questo intervento è indicato per le forme atrofiche secche o anche per gli esiti di una forma umida ormai inattiva che abbia dato un problema residuo permanente. Conditio sine qua non, però, è che il paziente debba essere operato di cataratta e non possono accedere all’intervento pazienti già operati di cataratta, che abbiano già un cristallino artificiale già impiantato.

L’intervento di SING IMT™ è del tutto simile a un intervento di cataratta classica.

«Rispetto all’intervento tradizionale», commenta il prof. Rizzo, «cambia solo la larghezza dell’incisione, che è di 2 mm nell’intervento classico e di 7 mm in questo (questa lente-telescopio è foldable, cioè pieghevole e si espande una volta inserita, ma è comunque più spessa di una lente normale); per questo è necessario mettere due-tre punti di sutura, che poi vengono rimossi a distanza di qualche settimana.

L’intervento si effettua in Day Surgery e dura 15-20 minuti. Il paziente è vigile e cosciente; per l’anestesia vengono utilizzate gocce oculari anestetiche o una piccola infiltrazione peribulbare».

Gli ortottisti sono fondamentali sia nella fase di selezione dei pazienti da avviare all’intervento sia nella fase di riabilitazione.

«Nei giorni successivi all’intervento», prosegue il prof. Rizzo, «il paziente dovrà riabilitare il suo cervello, per ‘insegnargli’ a utilizzare quella parte di retina ancora funzionante; questo viene effettuato nel corso di sei sedute di riabilitazione visiva nel post-operatorio, nel corso delle quali l’ortottista spiega al paziente come utilizzare al meglio questo sistema».