«In Italia sono già stati trattati con terapia genica diversi bambini affetti da distrofia retinica ereditaria causata da mutazioni bialleliche del gene RPE65, ma è la prima volta che questa terapia viene somministrata a una paziente adulta, una quarantenne con malattia in stadio piuttosto avanzato e bilateralmente ipovedente», ha dichiarato Stanislao Rizzo, professore ordinario di Oftalmologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Roma, e direttore UOC di Oculistica Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs.

«Questo trattamento, attraverso un vettore virale inattivato, fornisce una copia funzionante del gene RPE65 che, attraverso un’unica somministrazione per singolo occhio, veicola l’informazione corretta nelle cellule retiniche malate, migliorando la capacità visiva di chi riceve la cura».

Le malattie ereditarie della retina sono un gruppo di patologie rare geneticamente determinate che comportano una progressiva degenerazione dei fotorecettori della retina (coni e bastoncelli) con grave riduzione della capacità visiva negli anni. Le persone nate con mutazione in entrambe le coppie del gene RPE65 possono andare incontro a una perdita quasi totale della vista che può manifestarsi in tenera età e poi in qualunque fase della vita, con la maggior parte dei pazienti che arriva alla cecità totale. Si tratta, pertanto, di una malattia progressiva, responsabile di gravissima invalidità, sia sul piano della formazione scolastica che dell’inserimento nel mondo del lavoro.

«La paziente presentava le giuste caratteristiche anatomiche e funzionali in termini di residuo visivo per ricevere il trattamento e permettere di predire un buon risultato clinico», ha aggiunto il prof. Rizzo. «A un solo mese dalla somministrazione sottoretinica della terapia, abbiamo già potuto riscontrare dei miglioramenti significativi rispetto al pre-operatorio. Attraverso i test FST, che sono delle stimolazioni elettriche della retina, siamo infatti in grado di ricevere una risposta oggettiva ed evidente sulla funzionalità dei fotorecettori».

Il riconoscimento dei segni e sintomi, unito all’identificazione della mutazione del gene RPE65 attraverso il test genetico e alla verifica della quantità di cellule retiniche vitali, sono fondamentali non solo per la corretta diagnosi della malattia, ma anche per la valutazione della sua progressione e dell’eleggibilità del paziente al trattamento.

«Molti aspetti della qualità della vita come il grado di autonomia, il benessere psicologico e la sfera delle relazioni con gli altri sono fortemente determinati dalla progressione della patologia», ha sottolineato Assia Andrao, presidente Retina Italia Onlus. «Questa terapia ha il potenziale di ridurre il notevolissimo onere fisico, emotivo ed economico che questa malattia ha sui pazienti e sulle loro famiglie e può davvero determinare un miglioramento sensibile sia della loro quotidianità che delle prospettive di vita».

I passi avanti ottenuti negli ultimi anni dalla ricerca in campo clinico, genetico e tecnologico, oggi permettono di ottenere dei risultati importanti in termini di miglioramento della capacità visiva e di qualità di vita. Tuttavia, trattare un paziente affetto da distrofia retinica ereditaria con terapia genica richiede un percorso preparatorio per staff clinico e paziente, oltre a un processo di somministrazione estremamente complessi che possono richiedere fino a un anno di preparazione. Le professionalità coinvolte che collaborano, in sinergia, su un singolo intervento sono numerose, altamente specializzate e adeguatamente formate per eseguire la somministrazione sottoretinica del farmaco.

L’équipe del Policlinico Universitario A. Gemelli Irccs che ha seguito l’intervento, oltre al professor Rizzo, chirurgo della retina esperto in chirurgia maculare, ha visto il coinvolgimento del professor Benedetto Falsini, responsabile UOS Malattie eredofamiliari retiniche e specialista nelle Distrofie retiniche ereditarie, del prof. Marco Rossi, direttore UOC Anestesie delle Chirurgie Specialistiche e Terapia del dolore, del prof. Marcello Pani, direttore della Farmacia Ospedaliera, e dello staff infermieristico.

Il coordinamento del team multidisciplinare, con un ruolo chiave della Farmacia Ospedaliera, ha garantito l’esecuzione dell’intervento nel rispetto della pianificazione prevista.

«Siamo particolarmente entusiasti che il nostro Centro possa scrivere questa nuova pagina della medicina», ha commentato infine il prof. Rizzo. «Fino a oggi non avevamo terapie per il trattamento delle distrofie retiniche ereditarie, mentre attualmente non solo abbiamo in programma di intervenire sul secondo occhio della paziente appena trattata, ma due fratellini di tre e nove anni sono già stati candidati a ricevere la terapia dopo l’estate».

Luxturna® (Voretigene neparvovec) rappresenta la prima terapia genica approvata da AIFA per una forma di distrofia retinica ereditaria che compromette gravemente la vista. Le distrofie ereditarie della retina rappresentano la principale causa di cecità nell’infanzia e nella età lavorativa. Le ricerche dimostrano che nei bambini la compromissione della vista e la cecità spesso causano isolamento sociale, stress emotivo, perdita di indipendenza e rischio di cadute e lesioni.

Voretigene neparvovec rappresenta un punto di svolta promettente per i pazienti che potrebbero trarre beneficio dalla terapia genica, considerata l’assenza, fino a oggi, di una qualsiasi opzione terapeutica. Luxturna è indicato per il trattamento di pazienti adulti e pediatrici con perdita della vista dovuta a distrofia retinica ereditaria causata da mutazioni bialleliche confermate in RPE65 e che abbiamo sufficienti cellule retiniche vitali.