L’antibiotico-resistenza si configura oggi come una vera e propria minaccia alla salute e alla sanità globale.
Se non si riuscirà a invertire la rotta, nel 2050 le morti per infezione batterica supereranno quelle per tumore.
Questi dati allarmanti sono stati diffusi ieri nel corso di una intensa mattinata di lavori, organizzata a Roma da MSD Italia dal titolo “Scenari, priorità e obiettivi, secondo un approccio One Health”, un evento che ha visto confrontarsi associazioni, rappresentanti delle Istituzioni e del mondo scientifico.
L’Italia è maglia nera in questo quadro, secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità: nel nostro Paese il livello di antibiotico-resistenza è fra i più elevati d’Europa, con una percentuale annuale di pazienti infetti fra il 7 e il 10%.
L’eccessivo e inappropriato utilizzo degli antibiotici sia negli uomini sia negli animali, unito alle scarse pratiche di controllo delle infezioni, hanno trasformato l’antibiotico-resistenza in una seria minaccia.
Gli effetti immediati sono un prolungamento della degenza ospedaliera, il fallimento terapeutico e un significativo numero di morti, cui si accompagna l’impennata dei costi sanitari. E le infezioni ospedaliere sono solo uno specchio di questa emergenza.
Ogni anno, stando ai dati ISS, in Italia si verificano tra i 450 mila e i 700 mila casi di infezione in pazienti ricoverati in ospedale (soprattutto infezioni urinarie, seguite da infezioni della ferita chirurgica, polmoniti e sepsi). Di queste, si stima che circa il 30% siano potenzialmente prevenibili (135-210 mila) e che siano direttamente causa del decesso nell’1% dei casi (1350-2100 decessi prevenibili in un anno).
Rispondere a questa emergenza è possibile, hanno sostenuto gli esperti, solo attraverso un “lavoro di squadra”, ovvero un approccio “one health”.
In Italia è stato redatto un Piano nazionale di contrasto all’antimicrobico resistenza, PNCAR, valido per il quadriennio 2017-2020, che prevede azioni programmate e obiettivi specifici.
«Le infezioni ospedaliere sono comprimibili solo in parte perché esiste un rischio infettivo non riducibile pari al 3-4%», ha sostenuto Matteo Bassetti di SITA, «unito all’infection control – soprattutto all’interno delle strutture ospedaliere – un’appropriata diagnosi microbiologica, l’uso di vaccinazioni in pazienti immunodepressi nonché una corretta informazione e stili di vita sani.
Elena D’Alessandri