Apertura di reparto di Alzheimer in regime privatistico

I fatti. A fronte del silenzio della Regione alla richiesta di autorizzazione ad aprire un reparto di Alzheimer (20 posti letto con l’intenzione di svolgere l’attività in regime privatistico, quindi senza accreditamento e contratto con il Ssr), in relazione al quale l’Asl si era già espressa in senso favorevole, e all’utilizzo anche ambulatoriale, dei sevizi di diagnosi e cura già operanti, una casa di cura ricorreva al Tar che valutava come illegittimo il comportamento della Regione e nominava una commissione ad acta che si sostituisse all’ente. Commissione che valutata la richiesta, decideva di non concedere l’autorizzazione data «la sufficienza delle strutture provvisoriamente accreditate a corrispondere al fabbisogno regionale nonché la sospensione al momento degli gli adempimenti relativi alla verifica di compatibilità con il fabbisogno di assistenza». Più precisamente, secondo il Commissario l’art. 8-ter del D.lgs. 502/92 (come modificato dal D.lgs. 229/’99), doveva essere interpretato nel senso che il rilascio della autorizzazione alla realizzazione (prodromica al successivo rilascio dell’autorizzazione all’esercizio), deve essere subordinato alla «verifica di compatibilità del progetto da parte della Regione…effettuata in rapporto al fabbisogno complessivo ed alla localizzazione territoriale delle strutture presenti in ambito regionale, anche al fine di meglio garantire l’accessibilità dei servizi e valorizzare le aree di insediamento prioritario di nuovo strutture». A seguito della posizione espressa dalla Commissione, la casa di cura decideva di adire il Tar e a seguito del giudizio da questo espresso a lei sfavorevole, il Consiglio di Stato. Quest’ultimo contrariamente al giudice monocratico, con la decisione n. 550 del 29 gennaio 2013, sottolineando una situazione di paralisi che ha concentrato l’offerta in capo agli operatori già esistenti, ha chiarito che le autorizzazioni subordinate alla verifica del fabbisogno sul territorio devono essere valutate non solo in relazione all’art. 32 Costituzione (tutela della salute) ma anche all’art. 41 Costituzione (libertà di iniziativa dell’impresa). In poche parole, la disposizione richiamata, non può costituire «…uno strumento ablatorio delle prerogative dei soggetti che intendano offrire, in regime privatistico (vale a dire senza rimborsi o sovvenzioni a carico della spesa pubblica, e con corrispettivi a carico unicamente degli utenti), mezzi e strumenti di diagnosi, di cura e di assistenza sul territorio…». Sulla base delle considerazioni riportate, il Consiglio di Stato ha così accolto il ricorso proposto dalla casa di cura e ordinato al Commissario ad acta di adottare gli atti conclusivi del procedimento favorevoli alla società richiedente.