Esaurimento psicoemotivo, spersonalizzazione, scarsa empatia e poco coinvolgimento, fino a raggiungere livelli di cinismo e inefficacia professionale che espongono al rischio di errori sul lavoro e nell’assistenza al paziente.
Sono i sintomi principali e prevalenti con cui si manifesta il burnout, fenomeno accusato da un’ampia percentuale di operatori sanitari lombardi – secondo un’indagine condotta dall’Università degli Studi Milano-Bicocca per ANAAO-ASSOMED Lombardia – eppure ancora sottotraccia.
Talvolta misconosciuto da parte di chi ne è portatore, non sufficientemente preso in carico dalle aziende e dal mondo del lavoro, il burnout impatta con conseguenze (anche serie) sulla salute e resa professionale.
Il fenomeno
Ansia, depressione, stress a elevati livelli. Burnout. Da sempre esistito, ma esploso durante e nel post pandemia, il fenomeno è stato recentemente riconosciuto dall’OMS come una sindrome in grado di influenzare lo stato di salute, a carico soprattutto di alcune categorie di lavoratori, tra questi i medici a più alto rischio di stress e carico di lavoro crescente, in cui sintomi inizialmente latenti possono facilmente cronicizzare.
Salute, riduzione dell’efficacia delle prestazioni lavorative, distacco dal contesto ambientale e relazionale sono le cause più dirette del burnout psicofisico.
Per stimare la prevalenza dei sintomi e del fenomeno è stata condotta una indagine tra l’autunno 2021 e gli inizi del 2022 su un campione di 958 medici lombardi, tramite un questionario on line mirato, con l’intento di intercettare la sindrome agli esordi, indagarne le possibili connessioni con variabili demografiche e occupazionali, valutare l’impatto della pandemia sulla sintomatologia nei medici, finalizzare strategie per la tutela della salute psicofisica del personale.
I risultati
I medici lombardi sono in burnout: è quanto confermano i numeri. Oltre il 71% dei medici sospetta di aver sofferto di burnout e all’incirca il 60% teme di poterne soffrire in futuro.
Un riscontro oggettivo con strumenti di rilievo psicometrico attesta che i sintomi clinici riferiti siano riconducibile al burnout nel 18% dei casi, prevalenti sono lo spettro ansioso (32%) e depressivo (39%) comunque parte integrante del burnout.
Emerge, inoltre, si tratta di una condizione più di genere: a maggiore rischio di esposizione sono le donne, specie se molto motivate da e sul luogo di lavoro, o più giovani, con meno anni di anzianità e di esperienza sul campo.
Come a dire che non hanno maturato sufficienti anticorpi per farsi carico delle pressioni psico-emotive professionali e non solo. Sono sempre le donne ad accusare maggiormente ansia, depressione e ad avere una percezione bassa di autoefficacia, quest’ultimo aspetto condiviso con gli specializzandi.
Infine, più dell’87% dei medici lombardi dichiara che la pandemia e l’avvento della quarta ondata pandemica hanno avuto effetti di media o grave entità sul proprio benessere lavorativo: il servizio in area Covid-19 non sembra essere un fattore associabile a maggiori livelli di burnout, ansia o depressione, derimente sembra essere stata piuttosto la vicinanza di cari/colleghi che hanno sperimentato l’infezione con gravi complicazioni.
Le azioni necessarie
Quasi 20% dei medici lombardi, dunque, accusa sintomi riconducibili al burnout, più del 30% ansia e depressione di significato clinico: dati allarmanti, secondo gli esperti, meritevoli di attenzione e dell’adozione di misure cautelative e contenitive.
«I risultati dello studio, condotto con rigore metodologico», dichiara Ines Giorgi, psicologa e psicoterapeuta, «indicano la necessità di pensare, strutturare e promuovere programmi di valutazione accurata del disagio lavorativo per tutti gli operatori e segnatamente per il genere femminile e le persone con minore anzianità di servizio.
Il progetto rappresenta una sfida importante alla quale non è possibile sottrarsi se si intende contenere il burnout con tutti i suoi correlati di perdita di salute, professionalità, efficacia lavorativa e soddisfazione dei pazienti. Bisognerebbe affrontare la cultura del prendersi cura di sé come operatori sanitari già durante il percorso di studi e metter a disposizione nelle aziende sanitarie specifici setting di supporto».
Parallelamente, studi mirati a comprendere come attivare le risorse di resilienza, la verifica degli esiti di eventuali interventi, rappresenterebbero una buona sinergia fra Organizzazioni Sanitarie e Università.
«Tra le azioni possibili», dichiara Stefano Magnone, segretario regionale di ANAAO-ASSOMED Lombardia, «sarebbe auspicabile anche pensare a soluzioni contrattuali che sopperiscano alle mancanze aziendali o alle necessità inespresse dei professionisti».
Francesca Morelli