Chiusura del forame ovale è terapia anche per emicrania con aura

C’è un legame tra l’emicrania con aura e un difetto cardiaco, il forame ovale pervio (PFO), detto anche “buco nel cuore”. A individuarlo sono stati ricercatori dell’Irccs Centro Cardiologico Monzino e dell’Università Statale di Milano.

In letteratura esistono studi che mettono in correlazione il PFO con l’emicrania con aura (il 35% dei soggetti con il difetto cardiaco presenta emicrania) ed è già stato evidenziato che l’intervento di chiusura del forame può ridurre del 70% gli attacchi emicranici.
La novità portata dal nuovo lavoro è la scoperta del meccanismo fisiopatologico alla base di questa correlazione.

Questo sembra risiedere nel numero di piastrine attivate e microvescicole presenti nel sangue, elevato nei soggetti con le due patologie.
Queste componenti del sangue esprimono il fattore tessutale che innesca la cascata della coagulazione e la formazione di trombi.

Normalmente questa attivazione viene contrastata da sostanze antiossidanti che riducono lo stress ossidativo, appunto, ma si pensa che in pazienti con PFO queste sostanze non siano sufficienti, il che porta ad attivazione della coagulazione e formazione di microtrombi che mettono a rischio la salute del cervello dei pazienti. L’agente che induce lo stato ossidativo costante sarebbe proprio il PFO. Lo studio inoltre suggerisce anche che la miglior terapia possibile sia, in questi casi, proprio la chiusura del forame ovale.

Studiando 66 pazienti con PFO ed emicrania con aura, infatti, gli autori hanno dimostrato che mentre l’acido acetilsalicilico, uno dei farmaci usati come terapia, riesce a far regredire le crisi emicraniche, la chiusura del forame porta a una scomparsa delle stesse nel 69,7% dei casi.

Ecco perché gli autori vogliono convincere le società scientifiche di cardiologia e neurologia ad inserire l’emicrania ad aura nelle indicazioni che portano all’intervento percutaneo di chiusura del forame. E non sono soli in questa sfida.

«A oggi», spiega Daniela Trabattoni, responsabile dell’Unità di Cardiologia Interventistica 3 del Monzino e coordinatrice della parte clinica dello studio, «nessuna delle linee guida cardiologiche internazionali include l’emicrania con aura fra le indicazioni per l’intervento di chiusura del PFO. Eppure, si tratta di una patologia invalidante, che in molti casi non risponde ai farmaci e si presenta incessantemente per giorni, una o anche più volte al mese, impedendo la normale quotidianità e progettualità di vita.

Daniela Trabattoni

Per questo al Monzino, forti della nostra casistica di successo nel trattamento del PFO, abbiamo pensato di ricercare il meccanismo fisiopatologico di connessione fra le due patologie, per dimostrare, a livello di meccanismi cellulari, come la chiusura del forame possa di fatto impedire lo scatenarsi delle crisi di emicrania con aura».

E in effetti ciò che succede, dopo la chiusura del forame, è che lo stress ossidativo scompare e le piastrine riprendono il fenotipo “non attivato”, «tornando a circolare nel sangue per svolgere le normali funzioni emostatiche. Analizzando il sangue dei pazienti dello studio LEARNER abbiamo osservato che l’effetto di remissione dell’attivazione piastrinica può essere ottenuto anche con farmaci antiaggreganti quali clopidogrel.

Tuttavia, il vantaggio conferito dalla chiusura del PFO, rispetto al trattamento farmacologico del paziente, è che tale procedura permette di rimuovere la causa dell’attivazione piastrinica, mentre il secondo tratterebbe solo l’effetto dello stress ossidativo sulla piastrina obbligando per altro il paziente a una terapia cronica», aggiunge Marina Camera, professore associato del Dipartimento di Scienze Farmaceutiche dell’Università degli Studi di Milano e responsabile dell’Unità di Ricerca Biologia cellulare e molecolare cardiovascolare del Monzino, che ha coordinato la parte farmacologica-molecolare dello studio. D’altronde, se è possibile curare, perché accontentarsi di una terapia farmacologica cronica.

Stefania Somaré