Connected care, l’Italia è pronta?

Con il suo “Future Health Study” Philips rivelato che gli italiani sono in generale preparati alla svolta della sanità in senso digitale e aperti all’innovazione e che la transizione verso questo nuovo modello di assistenza richiede la partecipazione di tutti gli attori in gioco.
Abbiamo intervistato Andrea Cattani, head of brand communication & digital di Philips Italia, Israele e Grecia.

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Andrea Cattani, Head of Brand Communication and Digital – Philips Italia, Israele e Grecia

Quali sono le più importanti evidenze messe in luce dallo study relativo al nostro Paese?
«Il Future Health Study nasce con l’obiettivo di comprendere e interpretare le abitudini e le necessità dei cittadini italiani rispetto al loro stato di salute, per analizzare il ruolo cruciale svolto dalla trasformazione digitale in ambito sanitario. La ricerca ha confermato da un lato il ruolo sempre più attivo e responsabile dei pazienti nelle questioni riguardanti la propria salute anche grazie al possesso di dispositivi tecnologici in grado di tracciare i parametri vitali di base; dall’altro la possibilità di cogliere nuove opportunità nell’area della prevenzione. Il nostro compito e obiettivo in Philips è proprio motivare le persone a prendersi carico del proprio stato di salute partendo da uno stile di vita sano, passando per la prevenzione fino all’eventuale fase di diagnosi, cura e convalescenza, per poi ricominciare dalla prevenzione, in un ciclo virtuoso e continuo della salute denominato health continuum. Inoltre, in base alla ricerca, l’esperienza con la sanità viene giudicata positiva, ma emergono alcune criticità e inefficienze a livello di sistema. L’aspettativa di una maggiore qualità che i pazienti ripongono nei confronti della sanità integrata è alta. I pazienti sono pronti a fare la loro parte ma necessitano di meccanismi che li coinvolgano e li guidino in un sistema più strutturato. I benefici attesi sono soprattutto quelli di una maggiore efficienza di comunicazione tra paziente, sistema sanitario e medici. Burocrazia ed eccesso di regolamentazione sono visti come potenziali ostacoli alla trasformazione. Contribuire alla costruzione di nuovi modelli di cura che utilizzino le tecnologie digitali, che pongano la persona al centro, che siano più efficienti e orientati al risultato, è un altro importante obiettivo in Philips. Per raggiungerlo continuiamo a dialogare con le parti interessate: governo, professionisti sanitari, pazienti, per concretizzare una sanità integrata e digitalizzata».

Quali invece, a suo avviso, quelle rilevate in altri Paesi con il precedente studio?
«L’indagine internazionale è stata condotta su tredici Paesi selezionati per offrire un quadro rappresentativo dei differenti mercati internazionali che si trovano in diversi stadi di sviluppo economico e sociale. Sono Australia, Brasile, Cina, Giappone, Singapore, Sud Africa, Svezia, Emirati Arabi Uniti, Stati Uniti; e in Europa Francia, Germania, Paesi Bassi e Regno Unito. L’indice si focalizza su tre fattori chiave necessari per andare verso un sistema sanitario più integrato: accesso alla sanità; integrazione dell’attuale sistema sanitario e adozione di tecnologia e sistemi per le cure connesse. Mentre i dati della ricerca locale evidenziano come la tecnologia digitale rappresenti un driver chiave per la trasformazione del settore sanitario, il Future Health Index globale rivela differenti livelli di preparazione nei diversi Paesi e grandi opportunità di miglioramento per incoraggiarne l’adozione più ampia a livello globale. Il primo Philips Future Health Index mostra che i mercati avanzati hanno un accesso migliore alla sanità, mentre i mercati in via di sviluppo sono i primi per utilizzo di tecnologie connesse. La ricerca svela poi diversi livelli di preparazione ad accogliere i benefici della tecnologia per le cure connesse e la condivisione dei dati. I risultati indicano dei gap di percezione tra i professionisti in ambito healthcare e i pazienti su temi quali responsabilità e capacità di prevenzione dei problemi di salute».

Quali Paesi sono più vicini all’Italia, per caratteristiche e comportamenti, sulla connected care e quali e perché, invece, quelli che offrono esempi e benchmark ai quali ambire?
«Dallo studio emerge una certa omogeneità in termini di approcci e comportamenti tra i Paesi coinvolti. Da quello italiano emerge in particolare che siamo una popolazione attenta alla salute, consapevole delle proprie condizioni e sempre più spinta a usare innovativi sistemi che facilitano l’accesso alle cure sanitarie. Questa percezione è in linea con quanto dichiarato dagli intervistati in Europa. In termini di fiducia nel sistema sanitario nazionale, la Francia ha una percentuale di intervistati che considerano ottime le loro strutture: un giudizio sensibilmente più positivo rispetto agli altri Paesi. Nello studio italiano si registrano anche inefficienze: la maggioranza dei pazienti dichiara di dover ripetere le stesse informazioni a più operatori sanitari e la maggior parte afferma di essersi sottoposta più volte agli stessi test. Inoltre, benché più della metà dei pazienti intervistati possieda o utilizzi la tecnologia connessa per monitorare alcuni parametri sanitari, solo un terzo ha condiviso queste informazioni con il medico. I Paesi scandinavi e il Regno Unito hanno un sistema di connected care più integrato di quello italiano e possono essere un esempio. Ma l’Italia è un Paese in cui è possibile concretizzare la sfida della telemedicina e delle cure connesse, come stiamo già facendo da qualche tempo».

I pazienti e gli operatori sembrano più preparati alla connected care di quanto non lo siano le istituzioni. Come è possibile agire in modo da cambiare lo stato delle cose?
«La medicina e i pazienti sono pronti per la connected care e questo emerge anche dal nostro studio. Le istituzioni a livello centrale e regionale devono quindi lavorare in questa direzione per rispondere alle esigenze di una sanità integrata richieste dai cittadini italiani. Agevolare la trasformazione digitale del sistema sanitario implica un affiancamento, una vera e propria business partnership con il cliente che non si limiti alla semplice fornitura di apparecchiature e dispositivi tecnologici. Ci adoperiamo per accrescere l’empowerment del paziente nella gestione delle malattie croniche favorendo le cure domiciliari. Philips ha già approntato importanti progetti di telemedicina in Olanda su oltre cento pazienti con scompensi cardiaci; in Inghilterra, a Liverpool, su 1.808 pazienti affetti da broncopneumopatia cronica ostruttiva, o con scompensi cardiaci, o diabete. La prossima sfida è l’Italia, dove stiamo già sperimentando un progetto di Telehealth con un importante gruppo ospedaliero».

Sempre più pazienti ricorrono al web per trarne informazioni sul loro stato di salute. Non si tratta però di un mezzo da maneggiare con cura per evitare errori e allarmismi?
«In Italia, così come nei Paesi inclusi nel Future Health Index, una percentuale molto alta di pazienti cerca risposte in ambito medico su internet. Nello specifico, circa l’85% degli intervistati. Adoperarsi per fare informazione corretta al fine di accrescere la consapevolezza sullo stato di salute di ognuno è fondamentale, ma affidarsi a Internet per cercare delle risposte non è sbagliato. Il consiglio è di non consultare siti poco affidabili o cercare una soluzione sui social network. Esistono forum di specialisti che possono essere consultati e sono molto utili. Medici competenti interagiscono con i pazienti tramite questo tipo di piattaforme. Come ci ha suggerito il dottor Brignoli, vicepresidente di Simmg (Società Italiana dei Medici di Medicina Generale), in alcuni casi la visita medica non è necessaria e un consulto digitale con uno specialista potrebbe essere sufficiente».

L’intenzione è di dare seguito a breve a questi studi, ma quali evidenze auspicherebbe di trovare, nella prossima edizione, tanto in Italia quanto altrove?
«Siamo impegnati costantemente nella ricerca di nuovi strumenti e soluzioni integrate digitali e connesse che possano rispondere con successo alle sfide prossime che il sistema sanitario deve affrontare e poter quindi utilizzare uno strumento di ascolto dei bisogni dei cittadini, qual è stato lo studio, poterlo ampliare nelle aree di indagine più rilevanti, come verrà fatto nel 2017, ci sembra un’ottima opportunità da cogliere».

Roberto Carminati