Ci si è spesso chiesti chi siano i soggetti a maggiore rischio di contrarre il Covid-19 e di svilupparlo in forma grave. Nel tempo si sono individuati fattori predisponenti, tra cui obesità e abitudine al fumo, ma i ricercatori stanno cercando anche “marcatori” genetici.
Uno studio internazionale – condotto in seno alla Covid-19 Host Genetics Initiative (HGI), istituita nel marzo 2020, alla quale partecipano oltre 3500 ricercatori provenienti da 25 Paesi che lavorano insieme per condividere dati, idee, reclutare pazienti e divulgare i risultati delle ricerche – ha coinvolto 50 mila pazienti e 2 milioni di controlli sani, provenienti da tutto il mondo (The Covid-19 Host Genetics Initiative. Mapping the human genetic architecture of Covid-19. Nature. Online July 8, 2021).

Tra gli autori, anche ricercatori dell’Istituto Giannina Gaslini e dell’Università di Genova, afferenti alle aree disciplinari della Genetica medica e della Neurologia pediatrica. Sono 13 le regioni genomiche (loci) individuate che aumentano il rischio di sviluppare forme gravi dell’infezione. Pasquale Striano, uno dei 21 membri del writing group dello studio, spiega: «dei 13 loci identificati finora dal team del consorzio globale un paio avevano frequenze più elevate tra i pazienti di origine Asiatica rispetto a quelli di origine europea e uno di essi è vicino al gene Foxp4, correlato al cancro del polmone e associato a forme clinicamente gravi di Covid-19».

In genere, comunque, i loci identificati hanno la capacità di influenzare il sistema immunitario. Angelo Ravelli, direttore scientifico dell’Istituto Gaslini e professore ordinario di Pediatria dell’Ateneo Genovese, sottolinea come questo studio «potrebbe aiutare a fornire nuovi orientamenti per future terapie e rappresentare il valore degli studi genetici nell’acquisire nuove conoscenze sulle malattie infettive e altre condizioni non primitivamente genetiche. Questi risultati, comunque, dimostrano l’efficacia di un grande sforzo di collaborazione internazionale tra molti dei più importanti gruppi di lavoro nella presente crisi globale della pandemia da Covid-19».

I risultati sono stati ovviamente subito messi a disposizione della comunità scientifica per accelerare le attività del consorzio globale. Federico Zara, leader del gruppo che ha coordinato la raccolta della popolazione dei controlli sani, conclude: «l’obiettivo finale è scoprire strategie terapeutiche che consentano, grazie al contributo della genetica nel comprendere i meccanismi molecolari della malattia, di giungere a nuove cure».

Perché anche se ora l’attenzione dei Media è tutta rivolta ai vaccini, è importante individuare miglioramenti nel trattamento del Covid-19. A dirlo è il co-autore senior dello studio, il prof. Benjamin Michael Neale del Broad Institute del MIT, nonché professore presso la Scuola di Medicina della Harvard University e l’Unità di genetica analitica e traslazionale del Massachusetts General Hospital.

Stefania Somaré