Un anno fa il Cracking Cancer era nato con l’obiettivo di scardinare i vecchi paradigmi rispetto al cancro, cercando di dare vita a un dialogo sulle tematiche della cura in ambito oncologico in cui venissero coinvolti tanto gli specialisti della medicina, quanto giornalisti e sociologi, esperti di comunicazione e istituzioni, rappresentanti di associazioni professionali, di cittadini e altro ancora, al fine di generare una nuova prospettiva sociale e culturale per affrontare le neoplasie.

La pandemia da Covid-19 ha rappresentato un vero e proprio tsunami con effetti imprevedibili e drammatici sull’organizzazione sanitaria nel suo complesso. La priorità assoluta di gestire il Covid nei mesi più duri del lockdown ha causato un rallentamento, in alcuni casi un arresto, negli screening e nella diagnostica delle patologie oncologiche, nei controlli di routine e nelle stesse terapie, con conseguenze gravi, la cui reale portata si andrà delineando in modo più chiaro nei mesi a venire.

Il sistema si trova ora davanti ad un arretrato importante da dover fronteggiare puntando a nuovi modelli di assistenza e cura, resi possibili anche grazie alla sanità digitale e alle nuove risorse professionali.
Sono stati questi i temi cruciali affrontati in occasione del #ForumSistemaSalute del 1° e 2 ottobre durante la sessione dedicata all’oncologia, “Cracking Cancer, un anno dopo”.

Ripensare l’assistenza oncologica nel post Covid

«Un anno fa quando abbiamo lanciato il primo Cracking Cancer, nessuno avrebbe immaginato cosa sarebbe accaduto. Quest’anno il Covid ci ha messo davanti all’enorme sfida di garantire la stessa presa in carico del paziente oncologico in una situazione completamente esplosa, che ha mostrato sin da subito la necessità di ripensare un’assistenza oncologica, in favore di una crescente presa in carico territoriale.
Il Covid ha anche stravolto la nostra percezione della paura: se prima della pandemia il cancro veniva percepito come il “male assoluto”, con la pandemia si è assistito a una polarizzazione della nostra attenzione sul Covid a detrimento di altre patologie cruciali come il cancro e le malattie cardiovascolari», ha sostenuto in apertura Gianni Amunni, direttore generale ISPRO, Istituto per lo Studio, la Prevenzione e la Rete Oncologica.

La paura del Covid e la minore attenzione verso altre patologie, ha consentito da una parte di tornare a parlare di cancro in modo più rilassato, ma dall’altra la situazione emergenziale ha imposto una battuta d’arresto agli screening per 2, talvolta 3 mesi, ‘nascondendo’ di fatto nuove neoplasie: basti pensare che in Toscana ogni mese lo screening mammografico rivela circa 100 casi non diagnosticati di tumore alla mammella…

L’importanza delle reti per garantire un percorso al paziente

«Già prima del Covid», ha proseguito Amunni, «ritenevo il modello delle reti il più adatto alla presa in carico del paziente oncologico. Questo è ancor più vero oggi perché il percorso oncologico non è fatto solo di pochi momenti in cui si inocula un farmaco ad alta specializzazione, ma è un iter di screening, visite ambulatoriali e follow-up che necessita di un’organizzazione capillare perché 3,5 milioni di casi sono un numero troppo grande per essere gestito solo dagli ospedali che vivono di risorse umane e strutturali assai modeste. La rete serve anche a valorizzare il percorso, per far decollare il quale occorre una governance dell’oncologia a tutto tondo che prenda il paziente in carico e lo accompagni in tutti i diversi e più adeguati setting assistenziali. Questo è il valore aggiunto della rete che, se diffusa a tutto il territorio nazionale, è in grado di garantire equità di trattamento ai pazienti».

Il tema dello stop degli screening è stato ripreso anche da Paolo Antonio Ascierto, Presidente Fondazione Melanoma e Direttore dell’Oncologia Melanoma, Immunoterapia Oncologica e Terapie Innovative all’Irccs Pascale di Napoli, il quale ha sottolineato come nei mesi di maggio e giugno gli screening per i tumori della pelle abbiano mostrato un numero maggiore di lesioni in stato avanzato proprio a conferma del fatto che durante il lockdown la paura abbia inibito i pazienti dall’effettuare controlli. A ciò si è aggiunta un’allerta importante su alcune tipologie di trattamenti, come le immunoterapie, determinandone un’interruzione per molti pazienti soprattutto con riferimento ai centri più piccoli e periferici.

Anche Fausto Roila, direttore di Oncologia Medica all’AOU di Perugia e direttore delle Rete regionale dell’Umbria, ha mostrato seria preoccupazione per il ritardo accumulato nei mesi di lockdown e le mancate diagnosi di nuove neoplasie che potrebbero arrivare in stadio avanzato o metastatico e scompaginare l’agenda dei prossimi mesi andando ad aggiungersi all’attività ordinaria, ingestibile con un personale così ridotto.

«Dobbiamo ricostituire un personale adeguato, sostituire le strumentazioni obsolete, rinvestire sull’educazione medica continua, ridare importanza alla ricerca, per non trovarci, nel giro di pochi mesi, in una situazione drammatica. Anche in questo è cruciale l’intervento delle reti perché l’oncologia medica abbia le caratteristiche necessarie a garantire qualità ai pazienti».

«La rete è stata tuttavia sfruttata anche come strumento comunicativo, di comunità durante i momenti più duri della pandemia», ha puntualizzato Oscar Bertetto, direttore Dipartimento Rete Oncologica Piemonte. Nella sua Regione, in cui i casi di Covid sono stati numerosi, andando a colpire non solo i pazienti ma anche molti operatori sanitari, la rete si è dimostrata molto efficace nel dirottare gli interventi in strutture Covid-free. Un altro tema su cui ha insistito Bertetto è stato quello degli esami cui i pazienti vengono sottoposti, talvolta troppi e non sempre necessari.

Il cambio di paradigma e l’innovazione introdotta dal digitale

Il cambio di paradigma è l’elemento cardine su cui riflettere. Il territorio è stato riportato al centro in un’ottica di percorsi e di continuità assistenziale che non deve tuttavia tradursi – come ha sottolineato Carmine Pinto, direttore UOC Oncologia Medica, Clinical Cancer Center, Ausl-Irccs Reggio Emilia – in un taglio di costi per l’ospedale, ma in un’assistenza di qualità che garantisca il paziente in tutto il percorso assistenziale.

Sul tema della telemedicina, Pinto ritiene si sia fatta molta demagogia. «Quello che abbiamo sperimentato in questi mesi è stata una “telefonomedicina”». I dati di registro relativi al primo semestre 2019 e 2020 in Emilia-Romagna hanno mostrato invece una realtà preoccupante. Nei primi 6 mesi del 2020 è stata riscontrata una riduzione del 35% delle diagnosi di tumore, con punte, nel mese di aprile, del 55% per quanto attiene a quelli del colon.

«Tutto questo è stato co-determinato dal blocco degli screening, ma cosa comporterà nei mesi a venire, se considerato insieme alla riduzione del 30-35% degli studi clinici e al blocco dei campioni biologici?». Il sistema, ha ribadito, necessita di una radicale ristrutturazione in cui le reti rivestono un ruolo centrale che non può tuttavia essere a costo zero. «Occorre comprendere cosa strutturare negli hub e cosa sul territorio continuando ad assicurare la qualità delle prestazioni».

Superare il sistema di finanziamento a silos

In un’ottica di cambio di paradigma è necessario ripensare anche i sistemi di finanziamento del sistema sanitario nazionale che non può perpetrarsi in un rigido sistema di silos che non consentirebbe neppure di comprendere i reali vantaggi offerti da alcuni trattamenti. La stima dei costi dei pazienti oncologici è un elemento sul quale ha insistito molto PierFranco Conte, professore ordinario di Oncologia Medica all’Università degli Studi di Padova e coordinatore della Rete Oncologica del Veneto.

«La stima dei costi delle patologie oncologiche, croniche, diventa cruciale per capire come spendere i soldi che verranno messi a disposizione», tema condiviso anche da Amunni che crede nell’importanza di estendere gli screening, ma soprattutto che per portare qualità e competenze nel territorio servono risorse. «Vanno create strutture e luoghi di accoglienza. Dobbiamo pensare a un’oncologia con regia unica – ospedaliera e territoriale – che ha a disposizione setting assistenziali che sono anche cure ambulatoriali, il domicilio protetto del paziente, il chronic care model. È arrivato il momento di declinare questo in azioni concrete».

Telemedicina e territorializzazione per contrastare la migrazione sanitaria

Sandro Pignata, direttore di Oncologia Medica, responsabile della Rete Oncologica campana, Istituto Nazionale dei Tumori, Irccs Pascale di Napoli ha sollevato il tema della migrazione sanitaria, che in media interessa il 20% dei pazienti oncologici della regione Campania, illustrando le strategie messe in campo per contrastarla, come l’attivazione di poliambulatori dedicati in grado di accogliere migliaia di nuovi pazienti entro fine anno o un progetto di coinvolgimento dei 4 mila medici di medicina generale nelle reti oncologiche della regione.

«Telemedicina e territorializzazione vogliono dire studio, attenzione e riflessione. Tropo spesso si è parlato di trasferire dall’ospedale al territorio alcuni trattamenti, ma questo non è veramente mai accaduto. Da più parti si parla di territorializzare i trattamenti oncologici, ma la lotta al cancro ha prodotto nel tempo buoni risultati non solo per i farmaci. Ci sono considerazioni multidisciplinari e multidimensionali che hanno garantito un miglioramento nelle aspettative di sopravvivenza. È per questo che va garantito a questi pazienti l’accesso agli ospedali», è stato il commento di Paolo Pronzato, direttore UOC Oncologia Medica, Ospedale San Martino di Genova, rete regionale Liguria.

Il cancro resta la prima patologia per incidenza e per mortalità. A fronte di questo esiste una discrepanza inaccettabile in termini di figure e strutture dedicate. Occorre ripensare un nuovo equilibrio tra domanda e offerta, rafforzare le reti e far in modo che ci sia un luogo in cui le reti regionali possano incontrarsi, per condividere le esperienze positive, contaminare le altre realtà e comprendere dagli errori quello che è migliorabile.

«È necessario un tavolo, al Ministero, in Agenas, dove le reti possano confrontarsi, e occorre una maggiore spinta centrale affinché vengano create laddove non ci sono. Noi oggi abbiamo parlato di cose che in assenza di reti sono destinate a rimanere soltanto parole», ha concluso Amunni.

Elena D’Alessandri