Nel contesto di un convegno organizzato dall’ASST di Monza si è tenuta nei giorni scorsi una tavola rotonda che ha messo a confronto i modelli di presa in carico dei pazienti del National Health Service e i modelli di Regione Lombardia.
Nel 2018 il governo britannico ha stanziato 20,5 miliardi di sterline per sviluppare il Long Term Plan, un piano a lungo termine per consentire al sistema sanitario di trasformarsi per rispondere al meglio alle esigenze della società.
Fanno parte di questo progetto ambizioso vari sotto-progetti dedicati, per esempio, alla medicina personalizzata, alla digitalizzazione delle informazioni, al ruolo dei medici di medicina primaria.
Anche Regione Lombardia sta portando avanti una riforma che vuole porre le cronicità al centro, per una presa in carico più efficace e sostenibile, consentendo una maggiore interazione tra ospedale e territorio.
Abbiamo approfondito l’argomento con il moderatore della tavola rotonda, l’ing. Dario Montermini di PGMD Consulting, azienda che offre consulenza e sviluppo di soluzioni informatiche anche in ambito sanitario.
Montermini è in contatto con la realtà di Londra, dove diversi soggetti tra cui NHS London, Comune e rappresentanti della medicina di base, hanno creato un partenariato multisettoriale denominato Healthy London Partnership (HLP), che coordina i vari soggetti sui fronti di competenza sanitaria, socio-assistenziale, educazione e altro ancora per garantire un accesso equo ai servizi a tutti gli abitanti.
A Londra, circa il 37% dei bambini e il 19% dei pensionati vive in condizioni di povertà e questo incide fortemente sulle loro possibilità di mantenersi in buona salute.
Come si vedrà, le due esperienze – pur avendo punti di contatto – sono differenti in molti aspetti.
D’altronde, Londra da sola conta quasi la popolazione di tutta la Lombardia. Inoltre, la sua popolazione è mediamente più giovane ed eterogenea di quella lombarda: quasi il 40% è rappresentato da etnie non europee.
Un’altra differenza da tenere in considerazione riguarda il territorio: Londra è una metropoli, mentre la Lombardia presenta anche realtà rurali con fabbisogno e reti di servizi molto differenti dai contesti cittadini.
Queste differenze non sono però un limite: viste come spunto di riflessione, possono divenire una ricchezza per il nostro SSR.
«Studiare le soluzioni che Londra sta sperimentando per la sua popolazione metropolitana permette, in qualche modo, di individuare modelli che potrebbero poi essere adattati al nostro territorio, considerando che, secondo le proiezioni, presto avremo una popolazione più eterogenea e che parte degli abitanti rurali si sposteranno nei grandi centri abitati», conferma Montermini.
Una prima differenza che salta all’occhio è proprio la base su cui sono nate le due esperienze. A Londra vari soggetti istituzionali hanno individuato specifiche aree strategiche dove intervenire congiuntamente e a valle di una concertazione con vari attori già presenti e operativi su tali aree strategiche, «con una forte capacità di ascolto bottom-up. L’HLP promuove grandi tavoli di lavoro ai quali partecipano vari soggetti del territorio per analizzare e mettere a fattor comune esperienze di valore. Inoltre, l’esperienza londinese ha espresso da subito un’importante considerazione delle componenti sociali e di fragilità dei cittadini oltre a quelle sanitarie che ne possono essere condizionate.
Per esempio, prima di sottoscrivere un percorso terapeutico a un soggetto, vale la pena di capire in che contesto vive e se ha difficoltà psicologiche perché queste potrebbero inficiare l’aderenza al percorso stesso.
Questa è una componente che anche in Lombardia si sta sviluppando – sottolinea Montermini – seppur ancora in ambiti di sperimentazione o di accordi locali territoriali».
Questa apertura verso la stratificazione anche sociale della cittadinanza e la sua implementazione alla stratificazione sanitaria è stata confermata per la Lombardia anche da Luca Merlino della Direzione Generale Welfare regionale.
La capacità di raccogliere i dati in modo sistematico per garantire stratificazioni sicure è poi un fiore all’occhiello di Regione Lombardia ed è un aspetto che, invece, a Londra si inizia a fare in qualche contesto ma che ancora non è a regime.
«Nella capitale britannica le stratificazioni si ottengono parlando con più attori del sistema, ma non esiste una vera e propria raccolta dei dati sanitari di un singolo soggetto, come invece avviene da noi con il FSE», evidenzia Montermini. Certo, occorre ricordare che i due sistemi sanitari primari hanno anche importanti differenze: a Londra i medici lavorano in team da quasi 40 anni (General Practice) condividendo servizi, modelli organizzativi e obiettivi.
«In Lombardia, gli emergenti modelli delle presa in carico stanno sicuramente innescando la messa in rete dei medici di medicina generale, con esperienze di Gruppi di Cure Primarie anche ben consolidate; un’oggettiva evoluzione delle cure primarie che tuttavia non trova risposta corale tra i medici di base. Vi sono poi importanti differenze tra gli impianti normativi, tra cui i differenti limiti di popolazione assistita per singolo medico, e delle politiche di rimborso dei servizi: questo ha, per esempio, alimentato in modo significativo il fenomeno “Babylon”, acquisito proprio da alcune Practice come servizio basato su algoritmi intelligenti che consentono un primo livello di “ascolto e indirizzo” dei pazienti. L’efficacia della tecnologia, in particolare verso pazienti giovani e con fabbisogni tipicamente meno complessi, abbinata a specifici aspetti normativi ha creato fenomeni di improvvise ridistribuzioni dei pazienti rispetto alle practice e conseguenti impatti in termini di sbilanciamento e sostenibilità delle reti di servizi».
Lo stesso fenomeno Babylon andrebbe inoltre letto nel più ampio contesto del Digital Act Plan, piano strategico di digitalizzazione in Gran Bretagna. «Anche questo è un aspetto sul quale potremmo confrontare i due contesti», conclude Montermini, «visti gli importanti indirizzi che anche Regione Lombardia sta perseguendo, attraverso ARIA e il contributo di molti attori di mercato».
Tra i punti di analogia va sicuramente considerata la progressiva carenza di medici di medicina primaria e di infermieri.
«Certo, possiamo anche mandarli in pensione più tardi e aprire le porte anche agli specializzandi per tamponare il problema, ma comunque serviranno delle azioni più forti: cominciare a sperimentare le nuove soluzioni di intelligenza artificiale su cui diverse realtà tecnologiche italiane e lombarde sono già pronte e attendono solo il configurarsi di perimetri normativi per poter offrire servizi a valore aggiunto per gli attori coinvolti nei percorsi di cura e soprattutto per il cittadino.
Per prepararci agli scenari sistemici che si prefigurano tra 10-15 anni, dobbiamo iniziare a lavorare sin da subito, magari con sperimentazioni locali, magari partendo dal confronto con chi già sta sperimentando alcune soluzioni».
Il dialogo con NHS proseguirà quindi, portando nuovi quesiti e punti di osservazione e provando a identificare esperienze, conoscenze e soluzioni che possano calarsi nella nostra realtà di welfare e salute e favorirne il progresso.
Stefania Somaré