Cronicità: presentato il Rapporto di Cittadinanzattiva

Cronicità: presentato il Rapporto di CittadinanzattivaLo scorso 29 maggio è stato presentato a Roma il XVI Rapporto nazionale sulle politiche della cronicità elaborato dal Coordinamento nazionale delle associazioni di malati cronici di Cittadinanzattiva (CnAMC) con il sostegno non condizionato di MSD.
50 le associazioni di malati cronici che hanno preso parte a questo lavoro, più o meno equilibrati tra patologie rare (48%) e no (52%).

L’obiettivo del Rapporto è verificare se le richieste del Piano nazionale delle cronicità, varato lo scorso 15 settembre 2016, siano rispettate. Quasi inevitabilmente la risposta data dal Rapporto a questa domanda è no.
Il primo dato a sostegno di questa risposta è che, a 20 mesi dalla sua introduzione, solo 5 Regioni su 21 lo hanno formalmente recepito (Umbria, Puglia, Lazio, Emilia Romagna e Marche). Il Piemonte ne ha avviato il recepimento.
I soggetti interpellati, malati e loro caregiver, sostengono di non sentirsi accolti dal sistema sanitario nonostante le riforme che vengono messe in atto nelle varie Regioni, quasi si fosse creata una ineluttabile e infrangibile separazione tra atto normativo e vita reale. Le parole restano di fatto, in molti casi, sulla carta e falliscono nel tradursi concretamente in cambiamenti di vita.

Tra le altre cose, le richieste fatte dai pazienti interpellati spesso potrebbero essere risolti con “semplici” cambi di gestione e con una maggiore attenzione umana: ben l’80,5% ha sottolineato che vorrebbe essere ascoltata di più dal personale sanitario, sottolineando il ruolo psicologico della malattia nella loro vita.
Il 75,6% si è lamentato, invece, delle lunghe liste d’attesa, il 70,7% della mancanza di supporto alla famiglia nella gestione della patologia e il 68,2% della burocrazia.

E, ancora, vi è un ritardo nella diagnosi di alcune patologie, che rende poi più complessa la cura e gestione delle stesse: lo denuncia il 73% degli interpellati. La causa di questo ritardo sarebbe, nella maggioranza dei casi (83,7%) una non conoscenza da parte dei medici di famiglia e dei pediatri di libera scelta, spesso incapaci di riconoscere i sintomi e di prescrivere i giusti esami diagnostici.

In questo ritardo svolgono un ruolo importante anche la conoscenza del singolo cittadino che magari tende a sottostimare i sintomi che sente e si rivolge al medico tardi (67,4%) e la mancanza di personale specializzato e centri sul territorio (58%), fatto che determina anche le lunghe liste d’attesa.

Un altro aspetto a essere sottolineato dalle associazioni è quello economico, spesso apparentemente sottovalutato dal legislatore. La fotografia creata dal Rapporto parla, inoltre, di un ruolo primario delle associazioni di malati, che per esempio si accollano buona parte (98%) della creazione e diffusione di piano di prevenzioni, essenziali per ridurre il numero di pazienti cronici. Oltre il 73% denuncia ritardi nella diagnosi, imputabili alla scarsa conoscenza della patologia da parte di medici e pediatri di famiglia (83,7%), sottovalutazione dei sintomi (67,4%), mancanza di personale specializzato e di centri sul territorio (58%).

Risultano inoltre carenti i passaggi da ospedale a territorio, nonostante le Regioni parlino da tempo di rinforzare proprio la medicina territoriale, la più adatta a gestire le cronicità. Il 45,8% ha denunciato anche una scarsa qualità dell’assistenza domiciliare (il 61,9% ha dichiarato che le ore erogate sono troppo poche e il 52,3% che è difficile attivarla o viene negata).

Infine, il Piano cronicità prevede la creazione di Pdta per ogni patologia: il Rapporto svela che molti pazienti si sentono comunque lasciati soli anche in presenza di un Percorso di Cura specifico. A volte, quindi i Pdta restano sulla carta.

Il Rapporto ha cercato di verificare anche se i Registri di patologia siano davvero attivi: quasi il 36% degli interpellati sostiene che non ci siano e, in ogni caso, che la loro funzione sia per lo più di segnalare farmaci e dispositivi usati dai pazienti e non per identificare i bisogni socioeconomici e sociosanitari dei malati delle varie patologie. Ovviamente ognuna delle patologie croniche prese in considerazione ha un proprio iter terapeutico, ma ciò che accomuna tutti questi pazienti è senza dubbio l’aspetto psicologico, come già accennato.

Bene, in questo senso loro si sentono abbandonati. E non stiamo parlando solo di adulti (il 64,8% dice di avere difficoltà a farsi riconoscere una invalidità o handicap; il 59,4% sostiene che manchi un orientamenti dei servizi e il 51,3% non si sente tutelato al lavoro), ma anche di bambini, che vivono difficoltà a parlare della propria patologia e a vivere al meglio la loro vita scolastica, e di anziani, la maggior parte dei quali trova difficoltà nel doversi spostare per curarsi, si sente isolato dal punto di vista sociale, e vive problemi economici per sostenere le cure necessarie.

I problemi economici sono legati soprattutto all’acquisto di farmaci in fascia C (62%), alla necessità di adeguare il proprio domicilio a eventuali limitazioni fisiche dovute alla patologia, la retta per le RSA o il costo per una badante. Si tratta in tutti e tre i casi di spese ingenti, alle volte difficili da sostenere.

Insomma, un disastro su tutti i fronti. E invece no. Perché lo stesso Rapporto ha permesso, per esempio, di evidenziare che laddove i Pdta non sono solo carta, ma vengono formalmente applicati, sono estremamente utili per permettono di ridurre i costi diretti per i pazienti, di effettuare la prenotazione automatica di visite ed esami, riducendo i tempi di attesa, e di diminuire delle complicanze legate alla malattia.
Lo scoglio è ancora una volta di tipo culturale e politico.

Tonino Aceti, responsabile del Coordinamento nazionale della Associazioni dei Malati Cronici, ha sottolineato: «il recepimento del Piano procede a rilento e a macchia di leopardo. I nuovi LEA, che riconoscono nuovi diritti per i cittadini, per una buona parte invece sono ancora totalmente bloccati dalla mancata emanazione dei due decreti per la definizione delle tariffe massime delle prestazioni ambulatoriali e quello dei dispositivi protesici. E ancora mancano gli accordi di Stato e Regioni sui criteri per uniformare l’erogazione delle prestazioni demandate alle Regioni che, se approvati, potrebbero ridurre iniquità e oneri inutili per i cittadini».

«Al futuro Governo e alle Regioni chiediamo di passare dagli atti ai fatti sulle politiche per la presa in carico della cronicità in ogni angolo del Paese. E se nel Piano cronicità le Associazioni hanno avuto e continuano ad avere un ruolo da protagoniste e hanno un luogo, la Cabina di Regia, in cui concorrere all’implementazione e al monitoraggio, altrettanto non si può dire per i LEA che restano autoreferenziali. L’appello che lanciamo oggi è quello di aprire la Commissione Nazionale LEA alle organizzazioni civiche».

Stefania Somaré