Diabete, il rapporto di Cittadinanzattiva

Diabete, il rapporto di Cittadinanzattiva
Tonino Aceti

È stato reso noto il primo Rapporto Civico di Cittadinanzattiva sul diabete, patologia la cui incidenza nella popolazione è quasi raddoppiata negli ultimi 35 anni, passando dal 2,9% del 1980 al 5,3% del 2016.
Inoltre, pare che l’aumento dei casi sia avvenuto soprattutto negli ultimi lustri, con un incremento pari a 1 milione di malati dal 2000 a oggi.
Tra le cause di questo aumento vi sono senza dubbio gli stili di vita, tra cui alimentazione più ricca in grassi e carboidrati e vita sedentaria, ma anche ragioni demografiche: oggi i pazienti diabetici hanno un’aspettativa di vita più lunga, inoltre aumentando la vita media degli italiani aumentano anche i casi di diabete legato alla vecchiaia.

Infine, bisogna considerare che oggi la diagnosi è precoce e questo fa aumentare i numeri. Cittadinanzattiva ha voluto capire qual è lo stato dell’arte della presa in carico sanitaria per questa malattia cronica, che richiede controlli costanti e che può, se mal trattata, portare a conseguenze dannose per l’organismo.
Titolo del Rapporto, che è stato realizzato con il sostegno incondizionato di Abbot, è “Diabete: tra la buona presa in carico e la crisi dei territori”.

Alti i numeri dell’indagine che ha visto la collaborazione di 15 Regioni (Abruzzo, Basilicata, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Sardegna, Toscana, Provincia Autonoma di Bolzano, Provincia Autonoma di Trento, Valle d’Aosta, Veneto), 10 organizzazioni professionali, sindacati e società scientifiche coinvolte nel discorso diabete e 5 associazioni di persone con diabete. Coinvolti, inoltre, 4927 pazienti e 245 professionisti sanitari di tutta Italia.

L’immagine che esce dal Rapporto è di un’Italia frammentata: nonostante esista un Piano Nazionale Diabete, le Regioni sembrano andare allo sbaraglio, tra diverse modalità organizzative dei servizi, percorsi diagnostici, terapeutici e assistenziali che non sempre favoriscono l’accesso alle cure e una buona presa in carico. E si sta parlando anche della presa in carico dei più piccoli, in alcuni casi curati in centri per adulti (15%) e con una vita scolastica difficile, tra servizi mensa spesso inadeguati per le loro esigenze (62% de casi) e piccole discriminazioni.
In Italia avere il diabete, se si vive nel territorio “sbagliato”, può significare aspettare anche 1 anno per la prima visita diabetologica, doversi prenotare i controlli da soli anziché averli in automatico (47%).

Come si evince dal rapporto, si tratta di persone competenti nella gestione della propria patologia, come dimostra che solo il 6% è dovuto ricorrere all’ospedale per un ricovero, ma spesso devono acquistare i dispositivi innovativi di tasca propria, come quello per la glicemia (49,6%), gratuito solo in alcune Regioni.
Le differenze regionali esistono poi per il ticket, per l’accesso a un numero adeguato di strisce per la misura della glicemia. Un’Italia a macchia di leopardo, insomma.

Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tribunale per i Diritti del Malato-Cittadinanzattiva, ha dichiarato: «a distanza di 6 anni dall’approvazione del Piano Nazionale sulla Malattia Diabetica c’è ancora molto da fare per la piena e concreta attuazione dei diritti delle persone con diabete. Sono troppe e insopportabili le disuguaglianze regionali nell’accesso ai servizi e alle vere innovazioni tecnologiche. Approvare Piani nazionali, recepirli formalmente con delibere regionali e varare Percorsi Diagnostici Terapeutici Assistenziali non è sufficiente, serve maggiore e costante attività di verifica sostanziale da parte del Ministero della Salute e delle Regioni sulla loro concreta attuazione, per assicurare cambiamenti nella vita quotidiana delle persone su tutto il territorio nazionale. Su questo punto bisogna davvero cambiare passo perché quando dalle parole si è passati davvero alle azioni, i cittadini ne hanno visto i risultati».

Queste le dichiarazioni di Tonino Aceti, coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato e responsabile nazionale CnAMC di Cittadinanzattiva, che continua: «è inaccettabile che ancora quasi la metà dei pazienti sia obbligato a prenotarsi autonomamente visite ed esami di controllo. I centri di diabetologia, oggi in forte affanno, vanno rafforzati e integrati con i servizi territoriali. Per aumentare la capacità di risposta del SSN bisogna valorizzare di più la figura del medico di famiglia anche rispetto alla possibilità di prescrivere terapie innovative, come pure le importanti competenze maturate dalla professione infermieristica. Ridurre il peso sui pazienti della burocrazia inutile è una necessità ineludibile, come pure affrontare e risolvere definitivamente il problema della somministrazione dei farmaci a scuola che ancora oggi obbliga intere famiglie a farsi carico in prima persona e tutti i giorni di quest’attività».
Se tanto è già stato fatto, molto è ancora da fare.

Stefania Somaré