Durante i mesi più duri dell’emergenza pandemica da Covid-19 le strutture sanitarie, e la vita stessa delle persone, sono state messe sotto forte pressione.
Per mantenere un rapporto con i pazienti, anche se a distanza, i medici hanno messo in campo un po’ di tutto, supportati dall’innovazione tecnologica e dalle nuove opportunità offerte dal digitale. Il processo si è tuttavia sviluppato in assenza di una governance o di linee guida omogenee a livello territoriale e nazionale.

L’esperienza del lockdown ha riportato con forza l’attenzione generale sulla necessità di approdare a nuovi modelli organizzativi per le cure e l’assistenza in cui la digitalizzazione dovrà, necessariamente, giocare un ruolo chiave. La digitalizzazione diffusa – sulla quale l’Italia è fanalino di coda in Europa, collocandosi al 24° posto su 28 Paesi – si presenta quindi come l’impegno più rilevante di breve e medio termine sia per la sanità sia, più in generale, per il Paese. A questo scopo è necessario dotarsi di linee guida sicure e omogenee per avviare un percorso virtuoso basato sulle (nuove) competenze; queste ultime dovranno essere supportate da soggetti che siano in possesso delle necessarie capacità per gestire un cambiamento così radicale e profondo.

Sono stati questi i temi cruciali affrontati nella sessione: «Dove va la digitalizzazione, confronto sul documento di indirizzo», all’interno del Forum Sistema Salute del 1° e 2 ottobre scorso, moderato da Sergio Pillon, esperto indipendente del tavolo tecnico sulle Tecnologie Innovative dell’Istituto Superiore di Sanità, partendo proprio dall’ultimo documento di indirizzo sulla Telemedicina promosso dal Ministero della Salute.

La necessità di una governance

Se è vero che la digitalizzazione dei processi nel corso della pandemia ha offerto soluzioni innovative sul fronte della televisita e del teleconsulto – il che ha consentito, peraltro, di continuare ad avere, anche se da remoto, un rapporto di tipo ambulatoriale con i pazienti, almeno con quelli che disponevano di una connessione telematica – al contrario, il suo utilizzo ha messo in luce la totale assenza di governance nella gestione dei rapporti medico-paziente. Il fatto che una significativa fetta della popolazione sia ancora sprovvista di una connessione internet ha fortemente limitato tali rapporti. Le tecnologie sono oggi cruciali, ma queste devono essere certificate e devono garantire la continuità di esercizio e il rispetto delle normative contenute nel GDPR.

«I dati vanno mantenuti all’interno del perimetro sanitario, superando così anche i problemi di privacy. È inoltre necessario che gli stessi abbiano il medesimo codice e vengano nominati in modo uguale per garantire l’interoperabilità tra sistemi diversi», ha sostenuto Mauro Grigioni, Direttore del Centro Nazionale Tecnologie Innovative in Sanità Pubblica presso l’Istituto Superiore di Sanità.

Il caso della Toscana

In questa situazione, non ancora adeguatamente normata, la Regione Toscana ha fatto da apripista, dando avvio a un percorso, a livello regionale, che va nella direzione di una governance sanitaria digitale. Infatti, con l’esplosione della pandemia la Toscana ha istituito un sistema unico per la gestione del Covid attraverso l’approvazione di una delibera di giunta (n. 464 del 6 aprile) che includesse tutti gli elementi cruciali in tema di sanità digitale.

«Siamo andati a normare le azioni di prescrizione, la compartecipazione alla spesa, il codice per l’esenzione, le indicazioni alla televisita, resa prescrivibile. Siamo passati dalle ricette elettroniche all’uso delle piattaforme, facendo tutto in modo sicuro, utilizzando dapprima software open source e poi imponendo modalità più blindate per garantire maggiore sicurezza nell’accesso all’ambulatorio virtuale», ha illustrato Andrea Belardinelli, Responsabile del Settore Sanità Digitale e Innovazione Regione Toscana.

La terapia digitale come intervento terapeutico

«Occorre puntare più sul digitale e meno sul tele», è stato lo slogan di Giuseppe Recchia, Co-Founder e CEO DaVinci Digital e vicepresidente della Fondazione Smith Kline di Verona. «l Covid ha enfatizzato il potere del digitale aumentando le opportunità di assistenza e cura, ma ora è necessario puntare sul concetto di equivalenza presenza-remoto, trial clinici decentrati e ricerca».

La Brain Research Foundation di Verona ha voluto promuovere lo sviluppo di un sistema di telemedicina per la cura di malattie neurologiche croniche come la sclerosi multipla, per la quale verrà condotta una sperimentazione clinica randomizzata e controllata. La televisita viene quindi integrata con dei sensori e dei marcatori, e tutto ciò che serve per il monitoraggio, ma anche per l’intervento, ovvero terapie e riabilitazioni digitali.

«Sviluppare oggi la televisita non ha nessun senso, è necessario dimostrare che attraverso la medicina digitale si possono migliorare gli esiti di salute delle persone».
Il paziente richiede infatti la televisita, ma vuole di più: un continuo contatto con il medico laddove il monitoraggio in remoto offre una visione più olistica della sua vita. «La terapia digitale è un intervento terapeutico, modifica comportamenti disfunzionali che spesso sono la prima causa della malattia, ha una sperimentazione clinica, è rimborsabile, può prendere la forma di un videogioco o di un’app».

Questi modelli sono stati approvati in Francia, Germania, Regno Unito e sono in corso di recepimento negli Stati Uniti, ma ci sono due elementi che ne ostacolano l’ingresso in Italia: la validazione clinica randomizzata e controllata e il rimborso delle spese sostenute per la prestazione.
Infine, e non certo per rilevanza, c’è la ricerca, parte integrante dell’assistenza.

«È impensabile che la sperimentazione clinica delle terapie digitali sia analogica, basata su carta e pazienti che si spostano. Dobbiamo sviluppare trial clinici decentralizzati in cui il paziente è veramente al centro ed è intorno a lui che si muove il mondo», ha concluso Recchia.

Salute e e-health: la posizione dei medici di medicina generale

I medici di medicina generale, anche nella fase più acuta dell’emergenza, sono stati in prima linea anche sul fronte digitale con l’emissione di ricette elettroniche, di certificati, e nella loro archiviazione telematica nei database. Proprio per comprendere meglio l’approccio di questa categoria all’e-health è stata promossa una survey, rivolta ai quadri della FIMMG su questi temi, cui hanno partecipato 241 medici. Le aree tematiche indagate sono state 4: comunicazione, app per la salute, salute e cure digitali e piattaforme digitali.

Le risposte potevano evidenziare la concordanza o meno rispetto a 10 affermazioni predefinite dall’indagine per ogni area. La finalità era quella di sondare la sensibilità del professionista rispetto allo specifico tema. È stato così valutato il grado di univocità e il livello di accordo-disaccordo rispetto a ciascuna affermazione con un valore da 1 a 5.

I principali risultati della survey hanno mostrato che le piattaforme digitali devono essere governate e gestite dai sistemi organizzativi-associativi dei medici di medicina digitale; i medici di medicina generale richiedono la disponibilità di software gestionali clinico assistenziali in grado di integrare le informazioni e i dati che provengono dal mondo della salute e della medicina digitale; televisita e altre soluzioni digitali devono essere prescritte dal medico e da lui governate come qualsiasi altra soluzione diagnostica e terapeutica. Più in generale, i medici di medicina generale concordano sul fatto che la medicina digitale offra soluzioni che vanno a migliorare sia l’accessibilità alle cure del paziente sia il rapporto tra medico e assistito.

Investimenti, ricerca e formazione

Le piattaforme online vantano 3 milioni e 900mila visite. Ma chi ha mai autorizzato queste piattaforme? È così che la politica viene chiamata in causa, chiamata a dare risposte, rivedendo i modelli di governance. Esiste ancora una differenza sostanziale tra Regione e Regione anche per quanto attiene all’assistenza territoriale; in alcune di esse mai realmente decollata, così come per l’organizzazione degli ambulatori di medicina generale.

«Una revisione dei modelli di governance che vada nella direzione di una maggiore equità di trattamento per tutti i pazienti a livello nazionale richiede univocità di indirizzo che poi le regioni dovranno attuare su tutto il territorio nazionale», ha sostenuto la senatrice Mariolina Castellone, membro della Commissione Permanente Igiene e Sanità del Senato.
Occorre investire nella digitalizzazione e puntare alla ricerca per rendere questo Paese, da sempre fanalino di coda, più moderno. L’emergenza Covid deve essere sfruttata come un’opportunità per invertire la tendenza.

Bisogna inoltre ammodernare le infrastrutture: «nella scorsa legge di bilancio abbiamo re-iniziato a investire in sanità dopo oltre 10 anni di tagli che hanno drenato al settore 37 miliardi di euro, 71 mila posti letto e lo spostamento di 46 mila medici e infermieri dal servizio pubblico a quello privato. Negli ultimi mesi sono stati stanziati 9 miliardi di euro e altri soldi arriveranno con il recovery fund e con fondi dell’UE per la digitalizzazione».

La ricetta non è spendere meno, ma spendere meglio, programmando! Quello che è mancato è la programmazione. Per la programmazione è cruciale puntare alla formazione degli operatori. Anche nelle procedure verso la realizzazione del fascicolo sanitario elettronico, sono stati accertati alcuni rallentamenti determinati dalla carenza di informazioni degli utenti e dalla carente formazione dei professionisti.

Fondamentale, a questo riguardo, la formazione dei giovani specialisti: «fino allo scorso anno erano disponibili ogni anno solo 6.200 contratti di formazione a fronte di circa 12mila laureati. Da quest’anno offriremo 14.400 contratti di formazione specialistica e questo aiuterà a colmare il gap della penuria di specialisti resa evidente dalla pandemia», ha concluso la senatrice Castellone.

Elena D’Alessandri