Fondazione Gambe torna a fare il punto sulle difficoltà in cui versa la sanità italiana.
Tradizionalmente, la legge di bilancio per l’anno successivo viene presentata in Parlamento il 30 ottobre, per arrivare a un testo definitivo entro il 31 dicembre. Manca quindi meno di un mese a questo importante appuntamento che decide delle sorti dei cittadini in tanti ambiti della vita. Sanità inclusa.
E puntualmente arriva l’analisi, chiara e dura, della Fondazione Gimbe che, nella voce del suo presidente Nino Cartabellotta, ricorda le grandi difficoltà in cui verte il SSN.
Una voce tutt’altro che solitaria, supportata anche dalla Corte dei Conti, dalla Corte Costituzionale e dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio che hanno dichiarato che il finanziamento degli anni scorsi era troppo basso. Nel 2023 il nostro Paese ha speso per il SSN il 6,2% del proprio PIL, percentuale al di sotto della media dei Paesi OCSE, che per quell’anno era al 6,9%.
Non stupisce quindi che lo stesso ministro della Salute Orazio Schillaci abbia dichiarato di recente che il livello minimo su quale attestarsi è il 7% del PIL. Questo dovrebbe quindi essere il minimo da cui partire per definire il finanziamento per il 2025, almeno potremmo stare nella media OCSE e, forse, salire la classifica della spesa sanitaria pro capite, che nel 2023 ci ha visti al 16° posto tra i Paesi OCSE e all’ultimo tra i partecipanti al G7.
In attesa dell’inizio della discussione parlamentare sulla legge di bilancio 2025, Fondazione Gimbe porta alcuni dati concreti tratti dal OECD Health Statistics. Vediamoli.
Come è andato il 2023?
Se l’analisi di Fondazione Gimbe verte sul 2023 è perché questo è l’ultimo anno per cui son disponibili dati ufficiali nel OECD Health Statistics, peraltro relativi a poco meno della metà dei Paesi che sta nell’area OCSE. Abbiamo già visto che nel 2023 l’Italia ha speso il 6,2% del proprio PIL in sanità pubblica, finendo al 16esimo posto della classifica dei Paesi OCSE.
Quanto spendono più di noi i nostri vicini europei? Germania e Francia sono al di sopra del 10% del PIL, mentre la Svezia più del 9% e Paesi Bassi, Austria e Belgio più dell’8%.
Il Paese più vicino a noi è la Norvegia, con il 6,8%. Spendono meno di noi, in Europa, solo Lussemburgo, Portogallo, Estonia, Grecia, Irlanda, Lituania, Polonia e Ungheria. Ma attenzione: le percentuali del PIL raccontano una parte di verità, perché occorre fare i conti anche con il valore assoluto del PIL e il numero di cittadini. Vediamo, quindi, come è andata la spesa pro capite?
Nel 2023 in Italia si sono spesi 3.574 euro per cittadino, quando la media OCSE è di 4.174 euro. Vi ricordate che la Norvegia ha speso poco più di noi come percentuale sul PIL? Bene, la sua spesa pro capite per il 2023 è stata di 7.399 euro.
Dichiara Cartabellotta: “di fatto in Europa siamo primi tra i Paesi poveri, davanti solo a Spagna, Portogallo e Grecia e ai paesi dell’Est, esclusa la Repubblica Ceca. Al cambio corrente dollaro/euro il gap con la media dei Paesi europei nel 2023 raggiunge 807 euro pro capite che, tenendo conto di una popolazione residente Istat al 1° gennaio 2024 di quasi 59 milioni di abitanti, si traduce nell’esorbitante cifra di oltre 47,6 miliardi di euro”.
Il confronto con i Paesi del G7
Se usciamo dall’Europa la situazione non migliora. Ecco il pensiero di Nino Cartabellotta del confronto con gli altri Paesi del G7, ovvero Canada, Francia, Germania, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti: “il trend della spesa sanitaria pubblica pro capite 2008-2023 restituisce un quadro impietoso: l’Italia è stata sempre ultima tra i Paesi del G7; ma se nel 2008 le differenze con gli altri Paesi erano modeste, con il costante definanziamento degli ultimi 15 anni sono divenute ormai incolmabili”.
Se il gap nel 2008 era di circa $1.250, nel 2023 siamo arrivati a farci più che doppiare dalla Germania.
“Numeri che rendono imbarazzante il confronto con gli altri paesi che siederanno al G7 Salute in programma ad Ancona (9-11 ottobre 2024), occasione irripetibile per avviare politiche più coraggiose per rilanciare la sanità pubblica. Ripartendo proprio dal divario attuale con i Paesi europei e quelli del G7, conseguenza di 15 anni di tagli e investimenti insufficienti, che non hanno tenuto conto che il grado di salute e benessere della popolazione condiziona anche la crescita del PIL. Ovvero che la sanità pubblica è una priorità su cui investire continuamente e non un costo da tagliare ripetutamente”.
Che gli investimenti in sanità siano una priorità lo raccontano anche gli stessi cittadini, per i quali è diventato davvero difficile affrontare le spese sanitarie, ma anche la gestione degli appuntamenti ecc. Si può a buona ragione parlare di una vera e propria emergenza.