I servizi di follow-up del neonato pretermine

L’Istituto Superiore di Sanità, in occasione della giornata mondiale della Prematurità ha ospitato una giornata dedicata al follow-up del neonato pretermine, diffondendo anche i dati della prima indagine realizzata sui servizi di follow-up in Italia.

La ricerca, frutto di una collaborazione tra ISS, Società Italiana di Neonatologia e Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, ha messo in luce un quadro complessivo di follow-up neonatale positivo e consolidato, nonostante la carenza di indicazioni specifiche regionali e nazionali.

Flora di Flora, presidente di Vivere Onlus, che raccoglie 45 associazioni in tutta Italia, ha ricordato i vari traguardi raggiunti nel tempo, a partire dalla “Carta dei diritti del bambino nato prematuro”, che l’Italia, primo Paese al mondo, ha progettato, redatto e promosso recependo le indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Uno dei punti salienti della Carta è il diritto del neonato al latte materno e al contatto continuo con la famiglia.
Tuttavia, al di là dei primi fondamentali interventi, i nati prematuri hanno bisogno di un supporto costante durante la crescita, indipendentemente dalla presenza di disabilità manifeste.

Per questo è essenziale garantire loro un percorso assistenziale personalizzato e continuativo nel tempo, coordinato dall’équipe che lo ha preso in carico fin dalle prime settimane di vita.

Il follow-up è dunque un percorso imprescindibile inserito in una rete che coinvolge la famiglia, il pediatra di riferimento, i servizi territoriali e il neuropsichiatra infantile.

Alcuni dati

In Italia, nel 2018, sono nati 440 mila bambini, di cui 32 mila prematuri, pari a circa il 7% del totale.
I più a rischio, sono quelli nati prima della trentunesima settimana di gestazione, circa 4.400 l’anno, i quali vengono gestiti, sin da subito, nelle terapie intensive neonatali; rischi questi, più o meno gravi, che, in alcuni casi, possono comprometterne addirittura la vita ovvero portare a una disabilità, più o meno marcata, per tutta la loro esistenza.

«I problemi cui va incontro un nato pretermine sono i più svariati e le percentuali di rischio oscillano in maniera anche molto significativa, a seconda del tempo di permanenza nel grembo materno.
Recenti studi hanno dimostrato che una sola settimana in più nel grembo materno aumenta nel prematuro di quasi il 20% le sue chance di sopravvivenza», ha illustrato Fabio Mosca, della Fondazione Irccs Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico – Dipartimento di Scienze Cliniche e Sanità Pubblica, di Milano.

Le principali cause di morte nei primi giorni di vita sono imputabili a insufficienza respiratoria, infezioni e complicanze di varia natura.

«I dati sulla sopravvivenza in Italia risultano confortanti rispetto alla media UE: a fronte di un 14,8% di decessi in bambini nati sotto il chilo e mezzo di peso come media UE, in Italia questo valore scende al 13,8%.
I dati stanno nel tempo migliorando soprattutto per quanto attiene ai prematuri nati dopo le 22-23 settimane di gestazione, per i quali, tuttavia, si riscontra ancora una morbilità di lungo periodo.
I nati a partire dalla 29ª settimana di gestazione hanno invece alte percentuali di sviluppo senza conseguenze invalidanti», ha quindi concluso Mosca.

I danni neurologici

Tra le lesioni più importanti nei nati pretermine spiccano i problemi neurologici.
Basti considerare che il cervello, a 20 settimane di gestazione, pesa il 10% rispetto a quello di un bambino al termine della gestazione.
Inutile dire che questo interferisce in maniera sostanziale sul suo percorso di sviluppo.

Le lesioni cerebrali possono essere di vario tipo e – al di là della paralisi cerebrale che colpisce prevalentemente i nati sotto 1 kg di peso – possono manifestarsi disturbi sensoriali che vanno a interessare la vista e l’udito, o disturbi minori.
Studi recenti hanno mostrato come un maggiore coinvolgimento dei genitori all’interno delle terapie intensive neonatali abbia un’importanza determinante per lo sviluppo del bambino, soprattutto per quanto concerne tatto e vista.
In tal senso appare importante agire per modificare i percorsi assistenziali.

Il percorso di crescita del prematuro, tuttavia, presenta una condizione di rischio nel corso dell’intera vita. Le bambine premature, ad esempio, una volta adulte, presentano rischi più significativi, e una incidenza maggiore, nello sviluppare una patologia come il diabete gestionale in gravidanza.
Lo studio, effettuato su 1 milione 667 mila soggetti di età compresa tra 18 e 36 anni nati prematuri, ha mostrato inoltre una maggiore incidenza degli stessi a sviluppare insulino-dipendenza, quindi diabete tipo 2, obesità, problematiche cardiovascolari e sindrome metabolica.

Motricità spontanea, elemento predittivo di funzionalità cerebrale

Andrea Guzzetta, del Dipartimento di Medicina e Clinica Sperimentale dell’Università di Pisa e del Dipartimento di Neuroscienze dell’Età Evolutiva presso l’Irccs Stella Maris di Pisa, ha insistito sull’importanza di percorsi condivisi e una rete tra neuropsichiatri, neurologi e neonatologi.
Per la paralisi cerebrale – che ha un’incidenza del 10% nei nati prima delle 28 settimane, del 5% tra la 28-31ª settimana e che scende allo 0,7% dalla 31ª alla 37ª settimana – la diagnosi e il trattamento precoce sta riducendo in maniera significativa la sua incidenza.

«Al di là del neuro imaging e della risonanza magnetica per individuare i possibili rischi, un altro elemento di enorme valore predittivo è offerto dalla motricità spontanea, in quanto il movimento è una manifestazione palese della funzionalità cerebrale. L’esordio della motricità spontanea», ha proseguito Guzzetta, «avviene intorno alle 9-10 settimane, in concomitanza con lo sviluppo di aree di subplate del cervello.
I movimenti oscillatori spontanei che si sviluppano già dalle 7, fino alle 60, settimane sono fondamentali per consentire lo sviluppo cerebrale.
Si è inoltre riscontrato che anche l’attività motoria passiva nei nati pretermine contribuisce ad attivare delle aree sensoriali del cervello».

Altri studi hanno evidenziato l’importanza del “mirroring”, ovvero la relazione tra caregiver e neonato nelle prime fasi di sviluppo.
A una più ampia interazione con la madre, corrisponde un più rapido sviluppo delle capacità sociali e cognitive del bambino.
Anche nel caso dei pretermine, una pratica come quella del massaggio ha indotto uno sviluppo cerebrale più rapido, più simile a quello dei bambini nati a termine.

Problemi nel coordinamento e neuropsichiatrici

Fabrizio Ferrari, della Società Italiana di Neonatologia di Modena, neonatologo con importanti competenze in ambito neurologico, ha mostrato come circa il 40% dei nati pretermine abbia problemi di coordinamento o di altro tipo: questi bambini, una volta cresciuti, rispetto ai coetanei nati a termine, mostreranno una bassa resa scolastica e problemi di autostima.
«Per questo è importante seguire percorsi di follow-up che arrivino almeno all’età scolare», ha insistito Ferrari.

Inoltre, talvolta, a un più basso QI sono associati problemi neuropsichiatrici. Del resto, all’interno del grembo materno il bambino ha una stimolazione sensoriale del proprio corpo in assenza di gravità e di fattori esterni; in ambiente esterno, per cure e altre mansioni, il bambino viene manipolato circa 200 volte al giorno, con un impatto importante sui suoi ritmi di sonno-veglia. Altresì, tra la 24ª e la 40ª settimana, a livello cerebrale si assiste a una fase di accrescimento molto significativa durante la quale il cervello duplica/triplica il suo volume e la corteccia cerebrale quadruplica (con conseguente sviluppo dei neuroni del subplate coinvolti nell’organizzazione corticale e nello sviluppo sinoptico).

Il Progetto Neuroprem in Emilia-Romagna

In Emilia-Romagna, nel 2016, si è dato avvio al progetto Neuroprem, un progetto di rete che ha coinvolto 8 strutture regionali sull’outcome neuropsicologico dei neonati pretermine di peso alla nascita molto basso (inferiore a 1,5 kg), finanziato dalla Fondazione Mariani.
L’obiettivo primario del progetto era condividere e uniformare definizioni, criteri diagnostici e strategie di intervento, oltre a una raccolta di dati degli outcome, su una piattaforma online, a 12 e 24 mesi, evidenziando la prevalenza delle disabilità, le condizioni fisiche, neuro-comportamentali e le lesioni cerebrali riportate.

Prematurità: una conseguenza della denatalità del Paese

Odoardo Picciolini (Fondazione Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico – Dipartimento di Scienze Cliniche e Sanità Pubblica, di Milano) ha illustrato la realtà della Clinica Mangiagalli, che nel 2018 ha accolto 115 nati pretermine.

«A fonte di una complessiva denatalità del Paese», ha osservato Picciolini, «anche il follow-up deve cambiare.
la realtà di oggi vede madri sempre più attempate, maggiore incidenza dei parti gemellari, percorsi già in partenza caratterizzati da elementi di fragilità. Tuttavia, si è riusciti a innalzare le percentuali di sopravvivenza anche in situazioni di prematurità grave. Ci si scontra, però, con anomalie maggiori e minori: la paralisi cerebrale, da una parte, e disturbi cognitivi, sensoriali, delle funzioni adattive, dall’altra.
A fronte di tutto ciò, non esiste ancora un pieno accordo, anche in termini di definizione, di quelle che possono essere definite “anomalie minori”.
Gli stessi bambini, analizzati a distanza di anni, mostrano una progressiva riduzione delle disabilità più gravi, ma si mantiene stabile nel tempo la disabilità media, ferme restando performance peggiori nei maschi rispetto alle femmine».

Nei nati prematuri più gravi si riscontrano problemi di organizzazione del linguaggio che non si riducono nel tempo.
Come intuibile, quanto più bassa è l’età gestazionale tanto più alte sono le disabilità.
In ogni caso, questi bambini necessitano di diagnosi e interventi precoci per cui a livello internazionale si cercano strumenti condivisi.
Al di là delle diverse tipologie di follow-up attuate nei diversi contesti (il nostro appare più simile a quello canadese), resta ferma l’importanza della multidisciplinarietà dello stesso.

Vantaggi e limiti di una diagnosi precoce

Elisa Fazi (ASST Spedali Civili di Brescia) ha evidenziato che i problemi dei pretermine possono interessare aree cognitive di controllo, comunicative, motorie e sociali, pertanto la valutazione a 24 mesi non può essere predittiva o esaustiva.
In generale, si è riscontrato che le connessioni dei nati pretermine sono molto più limitate rispetti ai nati a termine, sottendendo anomalie nei processi di maturazione cerebrale che possono causare disordini del neurosviluppo.
Una diminuzione del pruning neurosinaptico può dare vita all’autismo, mentre un suo aumento può essere causa di schizofrenia.
Le più rarefatte relazioni del bambino pretermine, a causa della permanenza in Terapia Intensiva, spesso danno vita a problemi legati all’emotività.
Se è vero che una diagnosi precoce potrebbe risultare importante, è altresì vero che potrebbe non dimostrarsi accurata, in quanto segnali riscontrati già nei primi mesi di vita attribuibili a una patologia potrebbero non essere confermati in seguito.

La prima indagine sul follow-up

L’indagine nazionale sui servizi di follow-up del neonato pretermine – svolta tra il 1° luglio e il 31 ottobre 2019 – si è rivolta a tutte le Terapie Intensive Neonatali del territorio italiano, registrando un’ottima adesione: 106 TIN su 124 (pari all’85%) ha compilato il questionario online di 74 domande.
La quasi totalità delle strutture (93%) ha un servizio di follow-up attivo da più di 5 anni, di cui è responsabile un neonatologo nell’88% dei casi.
Il follow-up viene finanziato, per l’80% dal servizio sanitario nazionale e, per il restante 20% riceve fondi addizionali di ricerca da privati e associazioni.

I criteri di inclusione prevedono l’inserimento nei servizi di follow-up di neonati nati prima delle 32 settimane o con peso inferiore ai 1.500 grammi (88%), di neonati asfittici (86%), con lesioni neurologiche maggiori (74,5%), patologie genetiche (64%), neonati piccoli per età gestazionale (55%) e con patologie chirurgiche (36%).
Nel 2018, il 25% delle TIN ha gestito più di 100 neonati, il 37% tra i 50 e i 100 neonati ed il 33% tra i 20 e i 50 neonati.

Nel 64% dei centri il follow-up viene garantito fino ai 2-3 anni di età del bambino. Solo il 15% prolunga il follow-up fino ai 4-6 anni e, soltanto il 5% dopo i 6 anni di età.
Nel 70% dei centri, il drop out dei bambini è inferiore al 10% a due anni, ma la percentuale si attesta al 30% a 6 anni nel 40% dei centri.
Oltre l’80% delle TIN segue il calendario dei controlli previsto dalle indicazioni “Il follow-up del neonato pretermine nei primi tre anni di vita” della SIN del 2015, ma solo l’8% dei centri funziona in rete con altri centri regionali o nazionali.

Le aree di valutazione

Le aree di valutazione del bambino incluse nel follow-up dalla quasi totalità dei centri sono quella neuromotoria (99%), quella della crescita e quella della nutrizione (95%).
A ciò si aggiunga la valutazione della vista e dell’udito, delle capacità comunicative e linguistiche, della funzionalità respiratoria.
Si segnala tuttavia che solo il 30% dei centri valuta la qualità della vita.
Quasi tutti i centri sono dotati di sale per le visite pediatriche (88%) e sale d’attesa (70%), ma solo la metà dei centri dispone di sale per visite specialistiche e per il colloquio con i genitori.
L’indagine conferma il ruolo centrale dell’équipe multidisciplinare: in più della metà dei casi il team si compone di un neonatologo, un infermiere e un neuropsichiatra infantile (disponibile tuttavia solo poche ore settimanali).
Meno della metà dei centri include il fisioterapista, lo psicologo e il neuropsicomotricista.
Per la quasi la totalità dei centri, inoltre, il contatto con il pediatra di famiglia avviene in maniera occasionale, o non strutturata; nel 30% dei casi solo al momento della dimissione.

In quasi tutti i centri viene effettuato il monitoraggio della crescita dei neonati dopo la dimissione attraverso curve specifiche. Il divezzamento viene generalmente programmato sulla base dell’età corretta (73%) e spesso iniziato a 4-6 mesi (64%).

Il 62% delle TIN effettua il follow-up respiratorio, includendo principalmente bambini con displasia broncopolmonare (59%) e peso alla nascita inferiore a 1,5kg (31%).
Per quanto attiene alla valutazione neurofunzionale, in più del 60% dei casi si utilizza la valutazione della qualità del movimento spontaneo.
I test di sviluppo-cognitivi utilizzati sono quelli previsti dalla letteratura, nel 15% dei casi si tratta delle versioni più recenti o di test non influenzati da difficoltà linguistiche.
In quasi la metà dei centri non viene effettuata la valutazione degli aspetti comportamentali attraverso test specifici.

Più della metà dei rispondenti riporta che in caso di identificazione durante il follow-up di un disturbo del neurosviluppo (disturbi dello spettro autistico, del linguaggio o dell’apprendimento), il bambino viene correttamente inviato ai servizi territoriali di neuropsichiatria dell’Infanzia o alla Neuropsichiatria infantile ospedaliera per accertamenti e conferma diagnostica.

Tuttavia, gli scambi con le strutture territoriali restano esigue: si mantiene un buono scambio di informazioni con le strutture territoriali solo nel 60% dei casi; nel 30% è scarso, del tutto assente nel 10% dei casi.
La disponibilità di un supporto psicologico ai genitori è offerta, su richiesta, nel 54% dei casi, mentre nel 22% dei casi viene offerta secondo un calendario prestabilito mentre non è affatto disponibile nel 24% dei casi.

Criticità e prospettive future

Il quadro delineato è complessivamente positivo, tuttavia esistono ancora dei gap da colmare, in primo luogo la strutturazione di un network stabile, tra servizi di follow-up e altri servizi e professionisti che entrano nel percorso di presa in carico dei bambini che manifestano conseguenze dalla nascita prematura.
In seconda istanza si riscontra una carenza di risorse – economiche e di personale – che non consentono il prolungamento del follow-up fino all’età scolare.

«Non ci sono peraltro azioni e fondi strutturali che consentano di intraprendere azioni a lungo termine», ha commentato Giovanni Leonardi, direttore generale della Ricerca e dell’Innovazione in Sanità del Ministero della Salute.

La dottoressa Privitera (Direzione Prevenzione Sanitaria del Ministero della Salute) ha riferito che si sta lavorando a un documento sui primi 100 giorni di vita, specificando che il lavoro su questi temi deve essere costante e che la condivisione deve essere alla base di tutto.
Sono state inoltre rimarcate la mancata garanzia dei LEA per l’area del neurosviluppo, le lunghe liste di attesa e le forti disomogeneità territoriali.

Un altro punto evidenziato è l’assenza di un “care manager” che possa garantire la prosecuzione delle cure ai bambini dopo i primi anni di vita.
Un ulteriore grave problema italiano è l’assenza di scambio e di comunicazione tra le varie strutture, a eccezione di Emilia-Romagna e Toscana, allorché sarebbe indispensabile un network a livello nazionale.

Occorre, inoltre, riflettere sulla capacità o meno dei 124 centri italiani di gestire la complessità dei bisogni dei pazienti e se non abbia più senso introdurre un sistema strutturato in centri di I e II livello.
Al centro di tutto, è stato ricordato che deve essere ben saldo il diritto di ogni bambino prematuro al follow-up, un percorso che può incidere profondamente, migliorando le sue prospettive di vita.

Elena D’Alessandri