Impianti cocleari e utilità dell’intelligenza artificiale

L’ipoacusia è un fenomeno in costante crescita, dovuto soprattutto all’invecchiamento della popolazione, ma grande peso hanno anche i fattori ambientali, in particolare l’esposizione a rumori forti.
Secondo i risultati della ricerca “Sentirsi bene. Il valore sociale dell’audioprotesi” condotta da Censis nel 2019, tra il 2012 e il 2018 ci sarebbe stato un aumento del 12% degli over 80 con problemi di udito e del 9,8% nella fascia d’età 46-60.

Nel complesso, sarebbero 7,3 milioni gli italiani ad avere problemi di udito e si prevede che questo numero crescerà parecchio entro il 2025. Per molte di queste persone la soluzione è l’uso di una audioprotesi, ma quando questa non sia sufficiente si può pensare a effettuare un vero e proprio impianto cocleare, un device fatto di una componente interna e di un’esterna che, nell’insieme, trasformano i suoni in segnali elettrici inviati direttamente al nervo acustico. Ecco, quindi, che si aggirano i danni all’orecchio profondo.

Questo sistema funziona sempre? Purtroppo, no: alcuni soggetti ne godono più di altri e al momento è abbastanza difficile prevederlo in anticipo.
Come in molti altri ambiti della medicina, si potrebbe pensare di utilizzare l’intelligenza artificiale: in effetti esistono studi in letteratura che supportano questo uso, suggerendo che possa migliorare l’accuratezza predittiva rispetto agli esiti di un impianto cocleare. Secondo gli autori di uno studio retrospettivo australiano e tedesco, i lavori già diffusi sarebbero limitati in termine di validazione del modello proposto.

Gli autori hanno quindi rivalutato 2.489 impianti cocleari effettuati in tre diversi ospedali per verificare l’efficacia dei modelli di intelligenza artificiale nel prevederne gli esiti: gli ospedali coinvolti sono il Vanderbilt University Medical Center (VUMC), l’Ear Science Institute Australia (ESIA) e il Medizinische Hochschule Hannover (MHH).

Gli autori hanno quindi verificato l’efficienza di tre modelli di intelligenza artificiale nel dare indicazione degli esiti, rivalutando i soggetti coinvolti circa a 12 mesi dall’impianto. Ciò che hanno evidenziato è che i modelli sono efficaci se utilizzati sulle coorti cliniche, mentre se si esce da questo contrasto e si aggiungono altri soggetti si genera un errore di valutazione che arriva anche al 16%.

Non solo. I modelli di intelligenza artificiale dovrebbero migliorare le performance al crescere della dimensione del campione: cosa che sembra non accadere. Insomma, i modelli già esistenti non sono completamente affidabili.
Certo, gli autori suggeriscono che questi sistemi possano aiutare a stratificare i pazienti e individuare quelli che hanno maggiore possibilità di godere dell’impianto, ma con una percentuale massima del 94% e sempre prendendo in considerazione un miglioramento almeno del 10% della capacità uditiva. La via, quindi, potrebbe essere quella giusta, ma occorre lavorarci ancora.

(Lo studio: Shafieibavani E, Goudey B, Kiral I, et al. Predictive models for cochlear implant outcomes: Performance, generalizability, and the impact of cohort size. Trends in Hearing. January 2021. doi:10.1177/23312165211066174)

Stefania Somaré