Un’infermiera agiva in giudizio contro la Casa Cura presso la quale operava, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti a causa di un infortunio, consistito in una lesione alla colonna vertebrale (con conseguente invalidità nella misura del 14-15%) e dovuto allo spostamento manuale di una paziente non autosufficiente. La Corte d’Appello di Bologna, con una sentenza del 13 ottobre 2008, riformava la sentenza del Tribunale di Ferrara del 29 settembre 2003, condannando la casa di cura al pagamento in favore della lavoratrice infortunata della somma di 47 mila euro a titolo di risarcimento danni. Alla base della decisione della Corte territoriale vi era la consulenza tecnica d’ufficio che aveva accertato il rischio professionale, insito nelle mansioni di infermiera svolte dalla ricorrente, e la necessità di controlli periodici sull’idoneità fisica a svolgere tali mansioni. Più precisamente, la Corte d’Appello ha ritenuto sussistente la responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 del Codice Civile, non essendo la lavoratrice, tra l’altro tenuta a informare il datore di lavoro sulle sue condizioni di salute ma dovendo il datore stesso provvedere ad accertarne l’idoneità suddetta. Per quanto ha riguardato la liquidazione del danno, i giudici bolognesi hanno invece ritenuto quello biologico, ridimensionato dalla patologia pregressa che il CTU aveva accertato. Mentre in ordine al danno morale, non risultando specificamente provato, hanno ritenuto opportuno una liquidazione equitativa onnicomprensiva del danno. La casa di cura condannata decide di ricorrere alla Corte di Cassazione lamentando anche un motivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 3 del Codice di Procedura Civile, consistente nella violazione del principio giurisprudenziale che impone di esporre il criterio di quantificazione, posto alla base del risarcimento del danno biologico. Motivo di ricorso quest’ultimo, unico a essere accolto dalla Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, che con la sentenza n. 18806 del 7 agosto 2013, ha precisato che nel giudizio di merito «la liquidazione del danno biologico e di quello morale è stata infatti, operata senza alcun valido riferimento agli elementi giustificativi della somma liquidata». Per queste ragioni, la Suprema Corte ha cassato in relazione al motivo accolto la sentenza impugnata e rimesso la controversia ai sensi dell’art. 384, comma 2, Codice di Procedura Civile, al giudice indicato in dispositivo, che dovrà uniformarsi a quanto statuito dalla stessa Corte di Cassazione.