Il dialogo digitale sull’emergenza Covid-19 promosso dall’Associazione Italiana Ingegneri Clinici ha coinvolto Siaarti, Sifo, Fare e Confindustria Dispositivi Medici e ha portato in evidenza una serie di spunti di riflessione dei quali sarĂ  necessario tenere conto per il futuro della sanitĂ  italiana.

CriticitĂ  nella fase emergenziale

Tra le principali criticità emerse in queste settimane, come ha fatto notare l’ing. Lorenzo Leogrande, presidente AIIC, «se da un lato noi ingegneri clinici abbiamo registrato la collaborazione e il dialogo con le singole strutture ospedaliere nel trasmetterci le esigenze, che ha consentito di affrontare le necessità, abbiamo sperimentato uno scarso coinvolgimento, a livello centrale, della nostra figura professionale, rivelando scarsa sensibilità verso le variabili tecnologiche sottese all’emergenza Covid-19, dai requisiti delle apparecchiature da impiegare a problematiche più tangibili, come la possibilità di deroghe all’utilizzo, limitatamente all’emergenza, di apparecchiature prive di marcatura CE».

Da rivedere il sistema degli acquisti. Salvatore Torrisi, presidente Fare, ricorda che «la gara Consip ha di fatto bloccato le altre gare che erano state poste a livello sia regionale sia aziendale e ora le strutture sono in attesa di ricevere i beni assegnati (alcuni lotti della gara Consip prevedono la consegna entro 45 giorni, decisamente troppi, vista la situazione)».

E qui emerge l’inadeguatezza normativa, con un codice degli appalti che necessita di modifiche nel senso di uno snellimento: la tempistica minima prevista per le forniture di beni (15 giorni) non è compatibile con situazioni di urgenza.

D’altra parte, secondo Fernanda Gellona, direttore generale Confindustria Dispositivi Medici, il mercato stesso si è rivelato impreparato ad affrontare la situazione, sotto diversi aspetti: «vanno distinte le aziende che forniscono prodotti Covid-19 da aziende che forniscono prodotti non Covid-19. Prendiamo l’esempio delle mascherine: l’Italia non ne produce più, la produzione è soprattutto in Cina, gran parte nelle Regioni interessate dalla pandemia».

D’altra parte, questo è anche dovuto all’assenza, in Italia, di una reale politica industriale: «un sistema che punta sul prodotto meno costoso ha scoraggiato le aziende nostrane».

Un altro esempio è quello dei ventilatori polmonari: la produzione nazionale è limitata e i produttori esteri che operano sul nostro territorio, a un certo punto, si sono visti fagocitati dalle richieste da vari Paesi, finché non sono intervenuti i vari governi nazionali a trattenere le produzioni entro i confini.

E veniamo alla questione reagenti. Gellona: «siamo davanti a un virus nuovo, i diagnostici per testarlo sono sotto validazione e questo dilata i tempi della loro disponibilità, ma è un passaggio necessario per ottenere prodotti sicuri ed efficaci, diversamente, il rischio è di incorrere in falsi negativi».

Sempre sul fronte fornitori, il coordinamento è stato un altro aspetto carente: «in alcuni casi le aziende hanno ricevuto richieste di forniture da più parti (es. Consip, ASST, donatori) per uno stesso ospedale, il che decisamente non è efficiente. Come Confindustria abbiamo chiesto alle aziende di darsi un codice di comportamento privilegiando le forniture al SSN, ma fondamentalmente è mancato un coordinamento centrale».

Non ultima, una criticità organizzativa legata al SSN, «che ha concentrato le sue forze sul versante ospedaliero e molto poco sul fronte territorio (in contrasto, tra l’altro, con la tendenza alla territorializzazione degli ultimi anni), che ha portato un sovraccarico degli ospedali, al quale si può rimediare solo puntando, appunto, sul territorio», nelle parole di Simona Creazzola, presidente Sifo.

In tutto questo, Leogrande apprezza il rinvio al 2021 dell’entrata in vigore del nuovo regolamento sui dispositivi medici: «il nuovo regolamento richiede adeguamenti difficili da attuare in questo momento. D’altro canto, non siamo in vuoto normativo, essendo in vigore la Direttiva 93/42».

Sul fronte clinico, nello specifico delle Terapia Intensive, non si era impreparati. Flavia Petrini, presidente Siaarti: «Siaarti in gennaio aveva depositato all’Istituto Superiore di Sanità un panel di esperti ai quali l’ISS e i comitati tecnico-scientifici nazionali e regionali hanno potuto attingere. Lamentavamo la scarsa attenzione di chi all’epoca gestiva il fenomeno su quello che stavamo vedendo in Cina e che immaginavamo sarebbe accaduto anche da noi, ossia l’inondazione delle Terapie Intensive.

La criticità è stato l’allestimento delle nuove aree critiche, per scarsità di posti letto, di ecografi, di ventilatori polmonari (quelli di sala operatoria non hanno caratteristiche adeguate a supportare l’insufficienza respiratoria di pazienti in ARDS – Sindrome da distress respiratorio acuto), di risorse umane (già carenti di per sé), di farmaci per la sedazione.
Ricordiamoci che i pazienti Covid-19 gravi restano in Terapia Intensiva anche 15 giorni e sono sottoposti costantemente a curarizzazione, quindi siamo in carenza anche di farmaci».

In tutto questo, il dato diffuso dalla Protezione Civile il 14 aprile del 60% di sopravvivenza nelle Terapie Intensive è segno del fatto che si è comunque riusciti a ottimizzare le risorse disponibili.

Best practice

In tutto questo, si sono visti da più parti esempi di best practice, come la conversione di posti letto ordinari in posti di Terapia Intensiva in breve tempo o come l’avvio, da parte delle farmacie ospedaliere, della produzione di disinfettanti per le mani per gli operatori.

La piattaforma Fare Emergenza Coronavirus, alla quale hanno aderito circa 350 aziende, raccoglie prodotti in pronta consegna: questo servizio, secondo Torriani, ha contribuito a evitare che le strutture si affidassero ad aziende esterne al settore che proponevano forniture in quantitĂ  ma non adeguate.

Sul fronte dell’ingegneria clinica, Leogrande segnala la collaborazione giunta da professionisti europei e internazionali, che hanno cercato un confronto produttivo con AIIC.

«Fornire quanto richiesto in tempi accettabili mantenendo i prezzi a livelli pre Covid» è un altro esempio best practice, secondo Gellona, che però richiama l’attenzione su un punto: «le aziende del comparto oggi sono in difficoltà, alcune sono chiuse o in cassa integrazione, e questo si rifletterà più avanti sul settore».

Cosa serve al SSN nel dopo Covid?

Nell’immediato serve, come detto, una presa in carico territoriale, mentre per il futuro è necessario investire in sanità.

Più in generale, alla sanità serve una vera svolta, secondo Torriani: «va semplificato il codice degli appalti, così come va recepito il concetto di produzione nazionale strategica nel campo del SSN (emblematico il caso delle mascherine).
Serve una politica lungimirante che non punti al prezzo piĂą basso, atteggiamento che ha ampiamente dimostrato di aver portato alla marginalizzazione della nostra produzione.
Spendere bene non è cercare il prezzo più basso: è spendere in qualità».

Il coordinamento tra centro e Regioni va migliorato, serve un federalismo che funzioni davvero: «oggi le aziende si ritrovano a confrontarsi con 20 sistemi sanitari diversi e questo non è efficiente», afferma Gellona. «Chi governa deve comprendere che la sanità è un aspetto strategico per il nostro Paese, un vero e proprio motore produttivo. Serve una politica industriale nazionale, e non regionale, per attrarre la fiducia degli investitori dall’estero».

Dal punto di vista dei professionisti di Terapia Intensiva, è necessario agire sul ricambio generazionale degli anestesisti, che al momento è mal distribuito, al punto che, come riferisce Petrini, «l’emergenza presente ha visto richiamare in servizio professionisti già in pensione».

L’auspicio di Leogrande è che l’esperienza corrente serva per mettere a sistema gli spunti emersi e colmare lo scollamento tra livello centrale e periferie.

Cristina Suzzani