Con il progressivo invecchiamento della popolazione mondiale, il peso delle patologie croniche aumenta, riducendo la qualità di vita dei pazienti che devono seguire percorsi di cura di lunga durata e assorbendo ingenti risorse dai servizi sanitari.
Per spiegare al meglio la situazione prendiamo a esempio la Lombardia, dove i cronici rappresentano il 30% del totale dei pazienti ma sfruttano il 70% delle risorse della sanità ragionale.
Un paziente con quattro patologie croniche costa al sistema sanitario ventuno volte in più di un paziente con patologia acuta; se le malattie croniche sono tre, la spesa è dodici volte superiore, se sono due la spesa è sette volte superiore e se la patologia è una sola la spesa è quattro volte superiore.
Si tratta di stime che mettono in evidenza un sistema non più sostenibile.
Il tema è stato al centro dell’intervento del prof. Giorgio Lorenzo Colombo del Centro di Economia e valutazione del Farmaco e delle Tecnologie Sanitarie (CEFAT) del Dipartimento di Scienze del farmaco dell’Università degli Studi di Pavia, durante il IV Symposium sulla Medicina dei sistemi, tenutosi presso l’Università degli Studi di Milano e patrocinato dallo stesso ateneo e dalla Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, con il sostegno non condizionante di Guna.
Favorire l’aderenza terapeutica
Alla base di un sistema più efficiente c’è senza dubbio l’aderenza terapeutica, ovvero il rispetto, da parte del paziente, delle indicazioni fornite dal team di cura, sia nelle dose che nei modi che nei tempi.
Il ruolo dell’aderenza terapeutica è noto da parecchio tempo, ma non sempre è possibile calarlo nella realtà e a ottenere i risultati sperati.
Secondo il prof. Colombo servono quattro gli elementi per ottenere una buona aderenza terapeutica e, quindi, una riduzione delle spese per i malati cronici:
- programmi che aiutino i pazienti a diventare autonomi nell’automonitoraggio e nell’autogestione dei farmaci
- maggiore comunicazione atta a spiegare l’utilità dei farmaci prescritti al paziente e i danni che derivano da una scorretta assunzione
- coinvolgimento dei farmacisti di zona, spesso il vero riferimento sanitario del paziente, nella gestione dei farmaci
- semplificazione degli schemi terapeutici, così da ridurre anche il rischio di interazione farmaco/farmaco e sviluppo di eventi avversi da overuse.
Serve un cambiamento profondo nel rapporto che lega il paziente al suo team di cura.
Occorre che l’approccio terapeutico venga ripensato per ridurre l’uso dei farmaci e favorire l’aderenza terapeutica da parte di pazienti che, spesso, sono anziani e in difficoltà.
Al momento, quasi il 30% dei pazienti over 65 che assumono farmaci ne prendono più di dieci al giorno.
C’è poi un altro punto essenziale, che però arriva prima dell’aderenza terapeutica, ovvero la diagnosi precoce anche delle malattie croniche. Molte malattie, se prese per tempo, possono essere gestite senza l’uso di farmaci per un certo periodo, per esempio introducendo cambiamenti nelle abitudini del paziente, dal punto di vista alimentare e del movimento fisico.
In Italia certe diagnosi arrivano con un ritardo di tre o quattro anni rispetto ad altri Paesi al medesimo livello di sviluppo. E questo è un problema di carattere organizzativo che deve essere preso in considerazione e risolto.
Fonte: CS


