È la più frequente causa di morte nel primo anno di vita, con un’incidenza di circa uno su 700/1000 nati vivi. Stiamo parlando della morte improvvisa del lattante. Mentre la morte inaspettata del feto ha un’incidenza di circa uno su 100/200 gravidanze. Entrambi questi eventi sono considerati tra i più gravi problemi della medicina moderna anche perché le loro cause non sono ancora del tutto chiare. Il 22 novembre 2014 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto 7 ottobre 2014 di approvazione dei protocolli diagnostici “Protocollo di indagini e di riscontro diagnostico nella morte improvvisa infantile – legge 2 febbraio 2006, n. 31, art.1, comma 2” e “Morte inaspettata di feto di età gestazionale superiore alla 25a settimana”, dando così attuazione a quanto previsto dalla legge 2 febbraio 2006, n. 31 “Disciplina del riscontro diagnostico sulle vittime della morte improvvisa del lattante (Sids) e di morte inaspettata del feto”. In questo modo sono stati definiti due percorsi diagnostici distinti, come rilevato dal Consiglio Superiore di Sanità nel 2008, del parere che la morte improvvisa del lattante e la morte inaspettata del feto siano condizioni completamente distinte che richiedono due protocolli diagnostici separati. Elaborati da un apposito gruppo di lavoro e sottoposti alla valutazione del Consiglio Superiore di Sanità, che ha espresso all’unanimità parere favorevole, i due protocolli hanno definito in modo particolareggiato tutte le tappe del riscontro diagnostico: indagine medico-legale, autopsia, diagnosi molecolare infettivologica, accertamento tossicologico, valutazione genetica, consulenza genetica, indagini citogenetiche sui lattanti deceduti improvvisamente e sui feti deceduti anch’essi senza causa apparente. Per consentire di comprendere e analizzare meglio questi eventi avversi, con l’obiettivo di ridurre i casi di decesso oggi inspiegabili, è quindi ora essenziale che i risultati delle indagini svolte secondo i due protocolli approvati, ma anche quelle effettuate nel corso di questi anni, siano comunicati tempestivamente (come previsto dell’art. 3, co. 1, della legge citata) dai centri autorizzati alla banca dati nazionale istituita presso il Dipartimento di Scienze Biomediche, Chirurgiche e Odontoiatriche dell’Università degli studi di Milano (già Istituto di Anatomia Patologica dell’Università di Milano).