La sanità pubblica italiana affronta un momento di profonda crisi, dove il problema principale non risiede nella qualità delle cure, ma nella difficoltà per i cittadini di accedervi in tempi accettabili. Questo è il severo monito lanciato da Cittadinanzattiva con i suoi due Rapporti 2025 – Il rapporto civico sulla salute e il Rapporto sulle politiche della cronicità – presentati presso l’auditorium del Ministero della Salute a Roma il 16 dicembre scorso, che definiscono il diritto alla salute come incomprimibile, ma oggi largamente compromesso da disuguaglianze e barriere organizzative.

L’analisi delle oltre 16.800 segnalazioni raccolte nel 2024 conferma un cambio di paradigma: la preoccupazione dei cittadini si è nettamente spostata dalla qualità all’accessibilità delle cure. La difficoltà di ottenere prestazioni sanitarie è quasi raddoppiata dal 2020 al 2024, raggiungendo il 47,8% delle segnalazioni totali.

Liste d’attesa: il tempo che condanna i cittadini

La piaga delle liste d’attesa è la manifestazione più evidente di questa crisi strutturale. I tempi per esami diagnostici e prime visite specialistiche superano regolarmente i limiti ragionevoli, compromettendo percorsi di cura tempestivi. Dai dati forniti dai cittadini, i ritardi sono impressionanti, non tanto per le prestazioni urgenti ma per quelle differibili, ovvero da erogarsi entro 120 giorni: vengono segnalate attese fino a 720 giorni per una colonscopia e fino a 540 giorni per una risonanza magnetica all’encefalo o una visita oculistica.

Le forti diseguaglianze territoriali

Nonostante l’introduzione di una normativa specifica (DL 73/2024), l’impatto percepito dai cittadini resta marginale. L’indagine di Cittadinanzattiva sui dati regionali ha messo in luce una drammatica disparità di applicazione: il diritto alla salute dipende ancora dalla residenza, con un netto divario Nord-Sud che vede le Regioni del Centro-Nord più trasparenti e attive nei “Percorsi di Tutela”. Solo il 40,6% delle prestazioni diagnostiche offerte viene accettata alla prima disponibilità, segno che la data o la sede proposta non risponde ai bisogni reali.

Il drammatico aumento della rinuncia alle cure

Il fenomeno più allarmante è la crescita della rinuncia alle cure, che per la prima volta dal 2019 ha nell’organizzazione e nelle liste d’attesa (6,8%) la sua causa principale, superando i motivi economici (5,3%). Questo si traduce in una mobilità sanitaria significativa: regioni come Calabria e Campania registrano saldi negativi, mentre Lombardia ed Emilia-Romagna attraggono la maggior parte dei ricavi, certificando l’incapacità di alcune aree di rispondere alla domanda interna.

L’impatto su cronicità e spesa privata

La gestione della malattia cronica rischia concretamente di diventare un lusso. Il Rapporto sulla Cronicità evidenzia che l’83,6% dei pazienti denuncia tempi di attesa eccessivi. Di conseguenza, oltre la metà (55%) ha rinunciato a visite o esami per l’indisponibilità nel SSN, e quasi l’86% ha dovuto sostenere spese di tasca propria, spesso per farmaci non coperti, visite specialistiche private o ticket elevati. La desertificazione sanitaria non solo aumenta la spesa privata (69,6%), ma costringe oltre il 43% dei pazienti con malattie rare a spostarsi in altre Regioni per ricevere cure adeguate.

Riforma territoriale e prevenzione in affanno

L’attuazione del DM 77/2022 per l’assistenza territoriale procede in modo diseguale e frammentato. A metà del 2025, solo il 38% delle Case della Comunità programmate risulta attivo, con appena 46 strutture in tutta Italia che rispettano pienamente gli standard previsti. I pazienti percepiscono questa inerzia: solo il 9,9% segnala l’accessibilità della Casa della Comunità.

La situazione si complica per l‘Assistenza Domiciliare Integrata (ADI): sebbene il 60% ottenga il servizio entro due settimane, fino al 23% attende oltre un mese. Soprattutto, l’accesso civico condotto da Cittadinanzattiva ha svelato una grave opacità: nonostante i 2,72 miliardi di euro del PNRR, nessuna Regione traccia la spesa effettiva né fornisce dati sulla qualità (ore erogate, intensità assistenziale), rendendo impossibile valutare se le risorse stiano realmente migliorando la vita delle persone fragili.

Anche la prevenzione è disattesa: pur essendo le segnalazioni calate (2,3%), questo riflette una minore priorità percepita dai cittadini a fronte delle urgenze, non un miglioramento dei servizi. L’offerta di screening oncologici è disomogenea: la copertura per il colon-retto è solo del 33,3% a livello nazionale, con alcune Regioni del Sud (come la Calabria, 5,2%) in forte ritardo strutturale.

L’appello: investire e programmare subito

Cittadinanzattiva conclude il Rapporto chiedendo un’azione immediata. Per superare questa iniquità e ripristinare l’equità, sono urgenti diversi interventi a partire da: l’adozione di un nuovo Piano Sanitario Nazionale, assente dal 2008; la piena attuazione e l’esigibilità dei LEA 2017 su tutto il territorio; la garanzia della tempestiva attuazione delle misure sulle liste d’attesa; il rilancio delle politiche sul personale sanitario e l’investimento sulla prevenzione e sulle infrastrutture digitali.

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