Onda, un manifesto sul dolore cronico

In Italia a soffrire di dolore cronico è una persona su 5, pari al 21,7% della popolazione, terzi in Europa per gravità della malattia. Questa patologia interessa tutte le fasce d’età, con una prevalenza maggiore negli over 60. Ancora scarsa la conoscenza della legge 38. 5-6 mesi di attesa per la prima visita e fino a 5 anni per l’ottenimento di una diagnosi.

In Italia l’incidenza del dolore cronico è pari al 21,7% dell’intera popolazione italiana, posizionando il nostro Paese al terzo posto in Europa quanto a severità della malattia.
Si stima, infatti, che circa il 26% della popolazione sia dovuto ricorrere a trattamento farmacologico per curare il dolore cronico almeno una volta nella vita. 1 su 4 ne soffre in media per 7 anni; il 27% dei pazienti affetti da dolore cronico sono over 60.

Tra le cause più comuni di dolore si riscontrano: mal di schiena, dolore muscolo scheletrico, mal di testa e dolore provocato da patologie croniche, in primis quelle oncologiche. Il dolore cronico espone chi ne soffre a conseguenze invalidanti in termini fisici, psichici e sociali. Questa patologia difatti porta a una riduzione dell’autonomia del soggetto, con forti ripercussioni sulla vita lavorativa e relazionale.

In termini di costi, il dolore cronico rappresenta una voce di spesa di 4.556 euro a paziente, di cui il 69%, pari a 3.156 euro imputabile a perdita di produttività e il restante 31% (1.400 euro) attribuibile ai costi diretti a carico del sistema sanitario nazionale.

La legge 38 del 2010 e i deficit informativi

Nel 2010, il dolore cronico è stato riconosciuto, dalla legge 38, come patologia che necessita di una propria specifica rete di assistenza e cura cui i cittadini hanno diritto di poter accedere.

Eppure, i dati più recenti, rivelano che il 21% delle persone affette non sa a chi rivolgersi e che addirittura il 33%, prima di giungere a un centro specializzato si sottopone a terapie inadeguate consultando inutilmente dai tre ai sette specialisti.

A ciò si aggiunge che il 72,1% dei cittadini non conosce la legge 38 e il 40% delle persone non è a conoscenza delle cure attuabili, anche se quasi il 90% delle sindromi risultano trattabili.

Studi recenti hanno inoltre mostrato che il 41% dei pazienti dichiara di non aver ricevuto un adeguato controllo del dolore, che trascorrono in media due anni tra l’esordio della sintomatologia e il primo accesso medico e che sovente si arriva a una diagnosi solo dopo 5 anni.

Il Manifesto sul dolore cronico

In occasione del tavolo tecnico regionale Lazio, organizzato da Fondazione Onda – Osservatorio Nazionale sulla Salute della Donna e di genere lo scorso 21 settembre è stato presentato il “Manifesto sul dolore. Le proposte per una migliore gestione dei pazienti con dolore cronico”, che ha lo scopo di migliorare i percorsi di assistenza e cura attraverso un set di proposte articolate in quattro punti:

  • migliorare la raccolta dei dati relativi al paziente con dolore cronico
  • rafforzare il network tra i clinici
  • assicurare un percorso di formazione continua e aggiornata del personale medico
  • promuovere una cultura del dolore cronico, attraverso una corretta informazione sulla patologia e sulle effettive possibilità di cura.

Il documento è stato promosso da AISD – Associazione Italiana Per lo Studio del Dolore, Cittadinanzattiva, Federdolore – Società Italiana dei Clinici del Dolore, Fondazione ISAL, Fondazione Onda, SIAARTI – Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva e SIMG – Società Italiana di Medicina Generale e delle cure primarie.

«Manca a tutt’oggi una cultura condivisa sul dolore cronico e questo rappresenta il principale ostacolo nell’accesso tempestivo ai percorsi di diagnosi e cura», ha commentato Francesca Merzagora, presidente Fondazione Onda. «L’avvento della pandemia ha reso ancora più difficile la battaglia contro il dolore cronico per l’impatto sulla continuità delle cure nei pazienti diagnosticati e per le nuove diagnosi mancate. A ciò si aggiunge il dolore cronico sviluppato come sequela dell’infezione da Covid-19».

«Purtroppo, il dolore, nelle sue varie forme, tocca molte patologie ed è per questo che l’impegno per l’attuazione della legge 38 deve riguardare una ampia platea di associazioni di pazienti, da quelle che si occupano di malattie reumatiche a quelle oncologiche, dalle cefalee alle patologie neurodegenerative o le complicanze del diabete», ha sottolineato Teresa Petrangolini, Patient Advocacy Facilitator della Regione Lazio.

«La Regione Lazio ha promosso la Sanità Partecipata proprio per dare spazio alla collaborazione tra istituzioni e associazioni dei pazienti. Il tema del dolore e della sua gestione deve stare dentro questa strategia partecipativa che punta a rendere concreta la centralità dei diritti, primo fra tutti quello a non soffrire. E per fare questo occorre partire da una rete più solida e da una maggiore informazione. Ci si trova oggi, anche grazie ai fondi messi a disposizione dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, in un momento di grande rinascita, che deve mettere anche il dolore cronico al centro delle sfide per il futuro».

«Occorre partire da una definizione chiara di dolore cronico», ha sostenuto Silvia Natoli, professore associato in anestesia e rianimazione presso l’Università Tor Vergata di Roma.
«Non è soltanto un dolore che si protrae nel tempo, convenzionalmente 12 settimane. Il dolore cronico, ricorrente o persistente, è una condizione che genera un’alterazione dello stato di salute.

Nonostante diverse azioni siano state intraprese dalle istituzioni affinché i soggetti affetti da dolore cronico siano curati in modo coordinato, continuativo e specialistico, come si addice ad ogni patologia cronica, la disciplina “terapia del dolore” stenta a essere compresa e riconosciuta a diversi livelli: dai pazienti, da molti colleghi medici, che ancora considerano il dolore cronico un sintomo, e dalle istituzioni stesse. La medicina del dolore è una disciplina che integra percorsi di diagnosi, di riabilitazione, di gestione personalizzata di terapie mediche e chirurgiche più o meno invasive. Essa, pertanto, ha bisogno di una rete che sia coordinata, promossa, indirizzata e monitorata per esprimerne al massimo le sue potenzialità».

Ogni paziente, infatti, ha il suo dolore e deve essere trattato in maniera personalizzata. “Il vero salto culturale che si deve fare è spostarsi dalla cura della malattia alla cura della persona, garantendo tutela al malato e adeguato sostegno socio assistenziale che miri a reintegrare il soggetto a pieno, attraverso una rete assistenziale che va dall’ospedale al territorio, traghettata dalla figura del medico di medicina generale».

La situazione nel Lazio tra criticità e proposte

A livello di Regione Lazio è stata definita la rete di hub e spoke ma tuttora si riscontra uno scarso coinvolgimento del territorio – AFT o UCCP. Inoltre, dal territorio, rappresentato dal singolo medico di medicina generale si passa direttamente allo spoke o al centro hub senza alcun filtro. A ciò si aggiunge l’assenza di specifici percorsi diagnostico-terapeutico assistenziali, PDTA o di DRG per il rimborso della terapia del dolore.

Il fatto che alla Regione sia stato assegnato un ruolo di coordinamento rappresenta un elemento importantissimo; manca tuttavia il supporto informatico e digitale per l’accesso ai centri di terapia del dolore.
Grazie al PNRR sarà possibile procedere a un’implementazione della rete ospedale territorio anche grazie alle Case di Comunità, guardando a un modello di presa in carico immediata e follow-up e monitorando le prescrizioni di oppiacei e analgesici.

Nel corso della tavola rotonda successiva, numerosi sono stati gli spunti interessanti: dalla necessità di linee guida comuni, enfatizzata da Franco Marinangeli di SIAARTI, al bisogno di una maggiore formazione – che comprenda anche i farmacisti – e di percorsi condivisi da tutti, sottolineata da Giulio Nati, presidente della Sezione Provinciale di Roma della SIMG, all’importanza di un adeguato passaggio di consegne dall’ospedale al territorio, evidenziata da William Raffaeli, presidente Fondazione ISAL.

E infine, parlando di assistenza territoriale, partire dal domicilio del paziente, come enfatizzato da Elio Rosati, segretario regionale di Cittadinanzattiva.

Elena D’Alessandri