Ospedale dei Castelli, Ariccia: progettare il rinnovamento

Il nuovo Ospedale dei Castelli
Narciso Mostarda, direttore generale ASL Roma 6

Il trasferimento delle attività precedentemente accolte negli ospedali storici nel nuovo hub dell’ASL Roma 6 è stato un vero e proprio “progetto nel progetto”: ne abbiamo parlato con il direttore generale, dott. Narciso Mostarda.

A lungo atteso, l’Ospedale dei Castelli è un fiore all’occhiello di una regione ricca di eccellenze cliniche, ma fortemente penalizzata sul fronte finanziario dal Piano di rientro dal disavanzo sanitario. Nata all’inizio degli anni ’90, l’idea di realizzare un nuovo ospedale nella zona è stata seguita da una complessa gestazione.

Dopo la bonifica dagli ordigni bellici (durante la Seconda Guerra Mondiale l’area d’intervento fu teatro dello sbarco alleato sul litorale latino) e una campagna di scavi archeologici, l’inizio dei lavori è avvenuto nel giugno 2013. Già alla metà del 2017 l’edificio era praticamente completo nelle sue parti architettoniche e il 18 dicembre 2018 si è svolta la cerimonia d’inaugurazione.

Valorizzare le realtà esistenti

«L’Ospedale dei Castelli è il risultato di un progetto concreto e illuminato, condotto nel segno della qualità, dell’umanizzazione e dell’innovazione», afferma il dott. Mostarda. Si tratta del più recente ospedale pubblico entrato in funzione nel Lazio: per l’intera comunità di circa 300.000 cittadini che risiedono nella zona sud dei Castelli Romani, rappresenta anche un sogno che si è realizzato».

Il nuovo Ospedale dei Castelli

Come si inserisce il nuovo ospedale nella realtà della ASL Roma 6?
«Il nuovo ospedale è parte integrante della rete che già comprende i presidi di Anzio, Frascati e Velletri, con un ruolo di hub. Al suo interno, l’Ospedale dei Castelli integra le attività che erano già operative negli ospedali di Albano Laziale, di Genzano di Roma e dello Spolverini di Ariccia, in quest’ultimo caso ereditandone anche la vocazione verso le discipline ortopedica, fisiatrica e riabilitativa.

Proprio il preesistente ospedale di Ariccia è stato il primo a essere riconvertito in un presidio territoriale di prossimità, attivo h12, nel quale è stata inserita una serie di attività di ambito eminentemente ambulatoriale. Anche per gli altri ospedali il trasferimento è avvenuto contestualmente all’entrata in funzione della nuova struttura».

Con quali modalità avete unificato le funzioni presenti in tre diversi ospedali?
«Non si è trattato di un semplice trasloco. Al contrario, abbiamo iniziato a costruire il programma degli spostamenti creando un gruppo di lavoro interdisciplinare, denominato “GIANO”, e composto sia da professionisti medici e infermieristici sia da figure competenti in ambito organizzativo, amministrativo e tecnico.
Ci siamo concentrati innanzitutto sull’analisi della nostra capacità di rispondere al fabbisogno di salute presente nel territorio, secondo una prospettiva proiettata nel futuro, arrivando infine a un progetto mirato all’innovazione, all’implementazione e alla maggiore appropriatezza delle risposte sanitarie.

Questi obiettivi hanno comportato una lavoro di ricerca e studio continuo, durato circa 2 anni e supportato da eventi formativi svolti in aula e sul campo, che hanno coinvolto circa 200 persone chiamate poi a svolgere il ruolo di “agenti del cambiamento”, dei veri e propri catalizzatori di una reazione virtuosa, finalizzata all’integrazione di tre équipe professionali molto diverse fra loro, per provenienza ed esperienza.

L’attività del gruppo GIANO – che ha contemplato anche una parte pratica, con visite in cantiere e con una serie di simulazioni delle diverse ipotesi di funzionamento – è stata sicuramente la parte più appassionante delle numerose iniziative messe in campo in vista dell’apertura del nuovo ospedale, indirizzate a governare al meglio quella che per tutti noi era la grande novità».

Un terremoto benefico

Qual è l’impatto provocato dal nuovo ospedale sul territorio?
«L’area d’intervento, cosiddetta “Fontana di Papa”, e più in generale l’intera zona dei Castelli Romani sono caratterizzate da un contesto paesaggistico molto particolare, ricco non solo di preesistenze archeologiche ma anche di una memoria storica più recente, legata a un’importante battaglia della Seconda Guerra Mondiale. Le operazioni di bonifica bellica, per esempio, hanno interessato circa un migliaio di ordigni inesplosi.

Questa stratificazione è stata ben considerata dai progettisti, quando hanno dovuto inserire nel sito prescelto un edificio molto poco impattante, circa 60.000 m² di superficie, distribuiti su 3 livelli fuori terra posti al centro di un parco di 15 ettari. Dal punto di vista architettonico il risultato ottenuto è sicuramente notevole sia per l’immagine esterna sia per la qualità percettiva e per il comfort degli spazi interni.

Sotto il profilo distributivo, l’ospedale si sviluppa prevalentemente in orizzontale, attraversato da diverse direttrici di spostamento che creano una maglia regolare estremamente funzionale. Parallelamente, l’intero edificio è concepito per proiettare le visuali interne verso punti focali del panorama, che offrono un insieme di riferimenti utili all’orientamento.
Articolata per aree omogenee, l’attività è supportata da sistemi, impianti e tecnologie di ultima generazione, che favoriscono un’organizzazione efficiente e al contempo attenta alle esigenze dei cittadini utenti.

L’Ospedale dei Castelli è perciò una realizzazione che segna un punto di svolta nelle opere pubbliche della nostra regione, ma che non sarebbe stata possibile senza la straordinaria solidità del capitale umano dell’intera azienda.
Ovviamente non è stato semplice: i piccoli cambiamenti generano sempre un po’ di diffidenza; i grandi cambiamenti, specie se concentrati in breve tempo, sono decisamente molto difficili da accettare. Nonostante i risultati raggiunti, l’azienda si sta ancora confrontando con un processo stratificato di resistenze multiple.

Tutto questo è comprensibile, specie in una Regione, qual è il Lazio, penalizzata dal Piano di rientro e dal conseguente blocco del turnover. Fortunatamente l’attuale governo regionale ci ha messo nelle condizioni non solo di completare un grande progetto interamente finanziato con risorse pubbliche – circa 120 milioni di euro – ma anche di reclutare nuove risorse umane da inserire nella struttura.

L’Ospedale dei Castelli ha perciò generato una successione di eventi che servono a dare una scossa utile, ad accelerare e recuperare un gap organizzativo, operativo, funzionale, progettuale e di pianificazione delle attività rivolte alla salute. Non nascondo che siamo orgogliosi di essere nell’epicentro di questo “terremoto pacifico”».

Obiettivi per il futuro

Quali sono i prossimi traguardi?
«Il consolidamento di quanto abbiamo fatto finora e il completamento dei processi in atto ci impegnano quotidianamente. Promuovere il cambiamento non è sufficiente, al contrario è necessario monitorare e orientare costantemente le trasformazioni.
Per esempio, stiamo allestendo uno spazio per permettere ai nostri pazienti, in particolare bambini e anziani, di incontrare in ospedale i propri animali d’affezione. Un altro ambito di miglioramento riguarda la qualità dell’alimentazione dei pazienti. Si tratta di un progetto tutt’ora in corso, svolto in collaborazione con l’Università di Tor Vergata. Ovviamente l’ospedale non è un albergo», conclude il dott. Mostarda, «ma ci piacerebbe molto che gli somigliasse».

Giuseppe La Franca, architetto