Polmonite batterica o virale? Lo dice un nano sensore

Sentir parlare di polmonite, oggi, riporta inevitabilmente ai due anni e mezzo appena passati, dove il virus emergente Sars-CoV-2, ha provocato molte polmoniti interstiziali. Tuttavia, la polmonite è da sempre una delle prime cause di morte nei Paesi Occidentali e, addirittura, la prima se si circoscrive il discorso alle sole malattie infettive.

Fiato corto, dolore al petto, febbre alta e tosse: questi i sintomi caratteristici di questa malattia che colpisce anche in corsia, essendo una delle infezioni correlate all’assistenza più diffuse nella popolazione fragile ricoverata. Due possono essere le cause della polmonite: batterica e virale, in entrambi i casi con vari agenti patogeni che possono determinarla.

Diagnosticare in mdo rapido l’agente scatenante è vitale per scegliere la terapia più adeguata, che potrà essere antibiotica, meglio se a basso raggio, in caso di polmonite batterica, o antivirale in caso di polmonite virale. Non è un problema da poco, perché queste diagnosi sono spesso difficili o lunghe da ottenere a causa della gran quantità di possibili colpevoli: lo dimostra il fatto che si riesce ad avere un nome specifico solo in circa la metà dei pazienti.

Dal Massachussets Insitute of Technology – MIT arriva una possibile soluzione: dei sensori nanoscopici, ricoperti di peptidi, che possono registrare la risposta dell’ospite alla malattia e, da qui, indicare il tipo di infezione; il tutto in sole due ore. Il marker utilizzato per differenziare la polmonite virale da quella batterica è l’attivazione delle proteasi.

In particolare, gli autori sono partiti da 33 librerie pubbliche di geni che vengono espressi durante un’infezione respiratoria e ne hanno individuati 39, relativi a proteasi, che rispondono in modo differente a una delle due tipologie di polmonite.

I sensori, 20 differenti in tutto, sono stati costruiti per registrare la presenza di queste proteasi che, semplicemente, in loro presenza li ricoprono in modo specifico. Una volta ricoperti, i sensori rilasciano una sostanza che viene escreta nelle urine: per avere il responso è quindi sufficiente fare un test delle urine del paziente.

Come hanno fatto gli autori a individuare i dicersi pattern delle proteasi nelle due malattie? Hanno sfruttato i topi, in particolare 5 diversi modelli di malattia: polmonite da Streptococcus pneumoniae, da Klebsiella pneumoniae, da Haemophilus influenzae, da virus dell’influenza e da virus della polmonite del topo. Conoscendo l’agente patogeno, gli autori hanno sfruttato questo primo test per sviluppare degli algoritmi di machine learning che permettano di leggere gli esiti del test delle urine in pazienti per i quali non è noto quale micobo abbia scatenato la polmonite.

Per esempio, hanno visto che in una polmonite batterica sono più rappresentate le proteasi rilasciate dai neutrofili, mentre in una polmonite virale ci sono soprattutto proteasi prodotte da cellule T cells e cellule Natural Killer. Al momento la ricerca sta proseguendo su due fronti: innanzitutto, modificare la via di somministrazione dei nanosensori… e poi trovare modo di poter osservare la loro risposta tramite un nebulizzatore e non un test delle urine.

Stefania Somaré