«I medici non possono essere condannati per la mera presenza in servizio nel momento in cui si verifica un errore o un danno al paziente. La responsabilità va accertata e motivata». Il principio riportato è stato espresso dalla Corte di Cassazione, Terza sezione Civile con la sentenza n. 8284/2014, con la quale è stato accolto il ricorso di un ginecologo di un’Asl e annullata con rinvio la pronuncia espressa della Corte d’Appello di Palermo. Vediamo i fatti. Il medico, assistente ospedaliero, era stato condannato in primo e in secondo grado a risarcire, in solido con il primario, i danni subiti da una bimba per il ritardo nell’esecuzione di un cesareo e l’omissione di accertamenti sullo stato del feto per le 16 ore intercorse tra il ricovero della madre e la nascita. Più precisamente, i giudici di merito avevano contestato all’assistente di aver contribuito, con la sua condotta colposa, «alla causazione dell’evento dannoso» sulla base del riscontro che lo stesso era risultato presente al momento del ricovero della madre e aveva redatto, quantomeno parzialmente, la cartella clinica. Circostanze quelle descritte, che la Suprema Corte ha giudicato insufficienti per affermare la sua responsabilità. Più precisamente, secondo la Cassazione «queste circostanze in difetto di un adeguato contributo motivazionale sulla loro rilevanza causale non possono deporre sic et simpliciter per un riconoscimento di responsabilità».
In poche parole, la sola presenza in ospedale dell’assistente al momento dell’arrivo della paziente «non è di per sé sufficiente a integrare il profilo di responsabilità addebitata».