Radioterapia palliativa, un modello per utilizzarla al meglio

Con la progressiva evoluzione delle terapie oncologiche, il confine tra uso della radioterapia come cura e come strumento palliativo è andato sfumandosi.
Occorre capire se iniziare o meno un percorso terapeutico, con quale tecnica, con quale dosaggi e quale frazionamento. Decisioni che devono tenere conto anche della reale possibilità di curare il paziente, per evitare di sottoporlo a trattamenti inutili o iniziare percorsi che non verranno portati a termine.

Un aspetto importante non solo per il paziente e la sua qualità di vita, che deve essere alta anche in prossimità della morte, per quanto possibile, ma anche per i costi sanitari.
Si stima che molte delle risorse associate alla radioterapia restino, di fatto, inutilizzate per morte del paziente o suo peggioramento clinico.

“Ambulatorio di radioterapia e cure palliative (RaP)” è il nome di un nuovo modello assistenziale che punta proprio a ottimizzare il processo descritto, creando una collaborazione continuativa tra radio-oncologi e palliativisti, così da utilizzare in modo adeguato la radioterapia palliativa e inviare ad altre cure palliative i pazienti che lo necessitano in tempo utile.

A idearlo, un team di ricerca italiano, afferente all’Irccs Istituto Romagnolo per lo Studio dei Tumori (IRST) Dino Amadori di Meldola (Forlì-Cesena), all’Università di Bologna con collegato Ospedale Universitario, all’Azienda Unità Sanitaria Locale della Romagna e all’Università dell’Aquila.

Per sccendere nel dettaglio, il modello prevede che i pazienti oncologici in stadio avanzato vengano sottoposti a visita congiuta dei due professionisti una volta al mese, con il supporto di un team di infermieri di radioterapia che accolgono il paziente e lo sottopongono a valutazione della scala ESAS e al questionario EORTC15Pal.

Nel frattempo, i due specialisti valutano il caso del paziente, per poi visitarlo con l’ausilio di tool prognostici e indicatori clinici. Alla fine delle visita c’è spazio per una discussione per arrivare a una scelta condivisa, in merito all’utilità della radioterapia palliativa, del trattamento farmacologico per la gestione del dolore e, se necessario, del migliore setting per le cure palliative. Il modello viene attuato una volta la settimana.

Il modello è stato sperimentato per 2 anni presso l’Istituto di Meldola, per un totale di 287 visite congiunte su 260 pazienti, nel 31,9% dei casi con tumore ai polmoni. Nel 52,3% dei casi, si è deciso per l’uso della radioterapia palliativa, per lo più in presenza di metastasi ossee o al cervello, mentre nel restante 47,7% no.
Inoltre, il 49% di questi soggetti è stato inserito nel follow-up. Pensando ai pazienti sottoposti a radioterapia, nella maggioranza dei casi è stata scelta la singola dose, per non più di 10 somministrazioni.

Alla fine dello studio, 142 pazienti erano morti e 103 ancora vivi. Nulla si sa degli ultimi 15. Il tempo medio di sopravvivenza del gruppo è 9,4 mesi, valore che scende a 8,1 nel sottogruppo irradiato. L’80% dei pazienti inseriti nel follow-up hanno ricevuto cure palliative prima della morte. I risultati, seppur preliminari, sono buoni, supportando un uso più sistematico del modello e ulteriori studi.

Secondo gli autori, il RaP permette anche di colmare alcune lacune esistenti tra professionisti in merito alla radioterapia palliativa. Il prossimo passo consiste, quindi, in uno studio randomizzato e controllato che consenta di mettere a confronto gli esiti dei pazienti trattati con RaP e degli altri.

(Lo studio: Rossi, R., Foca, F., Tontini, L. et al. Radiotherapy and palliative care outpatient clinic: a new healthcare integrated model in Italy. Support Care Cancer 31, 174 (2023). https://doi.org/10.1007/s00520-023-07584-y)