I ricercatori del Cergas – SDA Bocconi hanno presentato l’Osservatorio OASI 2020 sulle aziende e sul sistema sanitario italiano; la loro analisi si è concentrata sugli impatti che il Covid-19 ha sortito sul settore healthcare in Italia e sugli effetti non necessariamente negativi.
Nel commentare dati ed esperienze raccolti dall’Osservatorio OASI del Cergas – SDA Bocconi sulle aziende e il sistema sanitario italiano lungo un 2020 inevitabilmente segnato dal Covid-19 il responsabile scientifico Francesco Longo si è concentrato sulle opportunità offerte dall’emergenza. E ha rivolto lo sguardo al futuro, alla luce dei 209 miliardi che il nostro Paese attende dal Recovery Fund (Next Generation EU) e una parte dei quali dovrà inevitabilmente essere indirizzato alla Sanità.

«Con la pandemia», ha detto Longo, professore associato del dipartimento di Analisi delle politiche e management pubblico della Bocconi, «il SSN ha imparato a trasformare un reparto da una specialità all’altra in poco tempo, a riutilizzare come terapie intensive le sale operatorie, a suddividere i percorsi dei pazienti tra sporco e pulito, ad attivare le ricette dematerializzate, a spostare in digitale alcune visite specialistiche.
Questa capacità di riorientare repentinamente i servizi, purtroppo vissuta in un contesto drammatico e a costo di enormi sforzi del personale, è una grande risorsa che il sistema ha mostrato di possedere e che non deve perdere».

Della necessità di mostrarsi flessibili investendo in ambito ospedaliero in strutture convertibili e adattabili a più setting di cura ha d’altra parte parlato in occasione della presentazione del Rapporto il direttore generale del Welfare di Regione Lombardia Marco Trivelli. E la sua vision ha trovato di fatto conferma indiretta nei commenti di più d’un relatore. In quello dell’altra ricercatrice del Cergas Lucia Ferrara, per esempio, che argomentando della possibilità d’ispirarsi al paradigma delle Breast Unit ha parlato dell’ineluttabilità della transizione a modelli organizzativi multicanale.

Il territorio fra attualità e futuro

Digitalizzazione e telemedicina possono e devono esser pilastri del cambiamento, è stato osservato, sebbene specie in quest’ultimo caso resti da sciogliere il nodo della tariffazione, come ha ricordato Paola Boscolo, sempre del Centro di ricerche sulla gestione dell’assistenza sanitaria e sociale.
Le esperienze virtuose, date per esempio dall’attivazione di piattaforme di monitoraggio a distanza dei pazienti in più Regioni, non mancano. Anzi, le Regioni e l’immancabile territorio sono chiamati a trainare una trasformazione decisiva e improcrastinabile.
Si deve, cioè, nel parere del collega Gianmario Cinelli, tenere conto dell’identità organizzativa dei diversi sistemi locali ed esportarne le migliori pratiche, non in una logica di «copia e incolla» ma nel rispetto delle specificità di ognuna.

Trivelli stesso ha sottolineato come nelle fasi più calde dell’emergenza ed entro «un sistema forte» qual è quello lombardo, a mancare sia stata proprio la capacità del territorio di «fare filtro».
Proprio per questo budget importanti vanno destinati pure all’area extra-ospedaliera, fra ambulatori e cure domiciliari. A maggior ragione quando – è l’argomentazione di Lorenzo Fenech, Cergas – si è visto che il Covid-19 ha sottoposto a forte stress i servizi di Pronto Soccorso, che se da un lato sono la porta d’ingresso all’ospedalità dal territorio, dall’altro sono o sono stati «ospedali nell’ospedale».
Tornando però a Longo, punto di partenza della sua riflessione è che dopo dieci anni di tagli il SSN ha assistito fra marzo e ottobre 2020 a un’ascesa da 5 miliardi di euro (+4,7%) della spesa corrente e all’aumento – 36 mila unità, ovvero il 75% degli impieghi perduti nel decennio – dei dipendenti.

Dopo l’emergenza, attenzione a cronici e fragili

La crescita è stata però attuata, come ricordato da Longo, accumulando debito e generando un quadro di incertezza sull’ammontare e la stabilità dell’incremento della spesa pubblica di medio periodo per il SSN.
«Per evitare che la spesa corrente sfugga di mano», ha detto, «le risorse europee dovranno essere destinate agli investimenti in conto capitale.
Allo stesso tempo, a fronte dell’esperienza del Covid-19, sarebbe importante definire un valore soglia minimo, per esempio il 7,5% del Pil, sotto il quale il finanziamento del SSN non debba scendere».
Anche perché, passata la tempesta, riemergeranno problemi noti.

«Le epidemie, nella storia, si sono sempre esaurite, e anche questa», ha affermato il ricercatore Alberto Ricci, che con Longo ha coordinato l’Osservatorio, «lascerà il campo alle emergenze demografiche ed epidemiologiche di sempre: invecchiamento della popolazione, cronicità, disabilità, fragilità.
Si tratta di tendenze che sono comprensibilmente passate in secondo piano, ma che l’epidemia ha in realtà accentuato».

L’obiettivo urgente, secondo i curatori del Rapporto OASI, è ristrutturare il SSN in cinque anni, riorientandolo alla cronicità.
Si dovrà, cioè, investire in una capacità erogativa proporzionata ai bisogni ordinari, ma dotata di elevata flessibilità. E al contempo si deve evitare di investire in capacità produttiva di riserva che sia utilizzabile solo per gestire ondate epidemiche straordinarie.
Questo, tuttavia, è solo uno dei traguardi da inseguire, insieme all’evoluzione delle politiche per il personale «verso logiche di maggiore valorizzazione dei contributi dei professionisti e d’attenzione alla motivazione» e alla digital health, alla quale dovrebbe andare il 30% delle risorse per investimenti.
Ancora, è inderogabile «il ribilanciamento dello skill mix, con il trasferimento di alcuni compiti e funzioni gestionali, amministrativi e di case management dal personale medico (che costa 2,5-3 volte di più) al personale infermieristico, tramite un percorso di upgrading dei ruoli di tutti».
Infine, è urgente «la diversificazione delle logiche di approvvigionamento, poiché la pandemia ha mostrato con maggior evidenza i punti deboli di politiche di procurement orientate al massimo risparmio».

Roberto Carminati