Il rapporto OASI curato dai ricercatori del Centro di Ricerche sulla Gestione Sanitaria e Sociale – CERGAS di SDA Bocconi School of Management racconta di un sistema sanitario nazionale al bivio tra razionamento e innovazione. A pesare, oltre ad una penuria di risorse e forti diseguaglianze regionali, l’invecchiamento della popolazione e una spesa pensionistica che andrà ad assorbire tutte le risorse dedicate al welfare, in primis quelle destinate alla salute.
La spesa pensionistica assorbe attualmente il 15% del prodotto interno lordo italiano e, stando alle previsioni dell’ultima Nota di aggiornamento del documento di economia e finanza – NADEF, andrà ad aumentare di oltre il 20% (22%) entro il 2026, segnando un incremento di 64 miliardi di euro e impattando in modo significativo sulle finanze pubbliche e sulla possibilità di investimento in altre aree del welfare, a partire dalla salute.
A fronte di ciò, la crescita della spesa sanitaria non compenserà neppure l’inflazione, nonostante gli ulteriori 8 miliardi di euro erogati, passando dal 6,7% del PIL del 2022 al 6,1% nel 2026. È questo il preoccupante scenario delineato dal rapporto OASI 2023 – Osservatorio sulle aziende e sul Sistema Sanitario Nazionale – curato dal Centro di Ricerche sulla Gestione Sanitaria e Sociale – CERGAS, di SDA Bocconi School of Management, presentato lo scorso 28 novembre a Milano.
«Già oggi metà delle visite specialistiche e un terzo degli accertamenti sono a carico dei cittadini», ha sostenuto Francesco Longo, uno dei due coordinatori del Rapporto. E ha proseguito: «Ci troviamo nella paradossale situazione di riconoscere agli anziani pensioni relativamente generose, che sempre più spesso saranno spese in quelle cure mediche che il servizio sanitario fatica a erogare».
Scarsità di risorse e popolazione che invecchia
Il binomio scarsità di risorse a disposizione (l’investimento in sanità italiano è del 6-7% del PIL a fronte di Paesi come Germania, Francia e Regno Unito che superano il 10%) – e invecchiamento della popolazione (l’Italia è uno dei Paesi più vecchi al mondo) rischia di portare al collasso il SSN, chiamato oggi a farsi carico una popolazione caratterizzata dal 24% di over 65, di cui almeno il 40% con una patologia cronica e il 21% poli-patologico. A tacere del fatto che circa 4 milioni di non autosufficienti non trovano adeguata risposta ai loro bisogni di salute.
«Anche adottando un criterio ottimistico, il tasso di copertura del bisogno si ferma al 37%. Almeno il 62% della popolazione con limitazioni funzionali, stimabile in 2,4 milioni di persone, non riceve alcun servizio pubblico», ha proseguito Longo.
Un universalismo sempre più selettivo
Questi dati, unitamente a quelli delle liste d’attesa, sempre più lunghe – visite ed esami diagnostici rinviati a causa della pandemia Covid-19 sono stati solo in parte recuperati, ancora una volta con un grave gap Nord-Sud – segnalano che «l’offerta del SSN è già razionata, ma implicitamente», ha spiegato l’altro coordinatore del rapporto, Alberto Ricci, che ha così proseguito: «Siamo di fronte a un universalismo dichiarato che, in realtà, è selettivo».
A riprova di ciò, il fatto che il 50% delle visite specialistiche ambulatoriali vengono pagate privatamente, così come il 33% degli accertamenti diagnostici ambulatoriali.
In questa situazione, per la tenuta del sistema, sarebbe importante utilizzare le risorse del PNRR per una riorganizzazione dei servizi e un passaggio dalla logica prestazionale ad una di presa in carico. Interpretare il PNRR come politica di espansione e diversificazione dei servizi, a risorse invariate o in calo, sia economiche che professionali, potrebbe rivelarsi difatti insostenibile nel medio-lungo periodo.