Un paziente agiva in giudizio nei confronti di un’azienda sanitaria per ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito di un intervento chirurgico di osteosintesi con placca a vite e scivolamento, conseguente alla frattura del femore destro. Dagli accertamenti ai quali l’uomo decideva di sottoporsi perché continuava ad avvertire dolore si rivelava che, mentre la situazione prima dell’intervento non presentava alcuno spostamento dei frammenti, la situazione successiva, evidenziava un vistoso e grave spostamento della zona di frattura, causato dall’invasività della vite. In primo e in secondo grado la domanda di risarcimento veniva respinta per un problema di prova a carico del paziente. Chiamata a intervenire, la Corte di Cassazione, Terza sezione Civile, con la sentenza n. 21025/14, nell’accogliere il ricorso ha cassato la sentenza impugnata, rinviato nuovamente alla Corte d’Appello di Firenze in diversa composizione e osservato che «nel giudizio avente a oggetto il risarcimento del danno da attività medico-chirurgica, l’attore deve provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) e allegare l’insorgenza (o l’aggravamento) della patologia e l’inadempimento qualificato del debitore, astrattamente idoneo a provocare (quale causa o concausa efficiente) il danno lamentato, rimanendo a carico del medico convenuto e/o della struttura sanitaria dimostrare che tale inadempimento non vi sia stato, ovvero che, pur essendovi stato, lo stesso non abbia avuto alcuna incidenza causale sulla produzione del danno».