Salutequità, situazione della sanità non rosea

Tonino Aceti

Salutequità è un’associazione apartitica che, lavorando in modalità multi-stakeholder, analizza l’andamento e l’attuazione delle politiche sanitarie e sociali e stimola l’innovazione. Di recente ha rimesso al centro della discussione una criticità evidente più che mai.
La mancanza di personale negli ospedali, associata alla retribuzione troppo bassa rispetto a responsabilità e carichi di lavoro. I due fattori vanno analizzati insieme, perché molti medici decidono di andare a lavorare all’estero. Oppure la preferenza va a un gruppo di sanità privata locale. Le carenze non riguardano solo i medici, ma anche gli infermieri e i professionisti della filiera dell’assistenza, come tecnici di laboratorio e riabilitatori. Il tutto è esasperato dall’aumentare dei contagi dovuti alla variante Omicron che non risparmia, chiaramente, chi lavora in ospedale e nei servizi sanitari territoriali, compresi i medici di medicina generale.

Già prima della pandemia i sindacati dei medici gridavano all’allarme, calcolando che entro pochi anni mancheranno all’appello circa 25.000 tra professionisti in medicina e mmg. Simile la situazione tra gli infermieri: l’EU ci ricorda che in Italia ci sono 6.2 infermieri per 1000 abitanti, il 25% in meno degli altri Paesi. Anche in questo caso si calcola che presto avremo una mancanza di 63.000 infermieri, legata per lo più a un ridotto ingresso di nuove leve ai corsi universitari. I calcoli sono della Federazione degli Ordini. Ma perché ci troviamo in questa situazione? Certamente le nostre politiche programmatiche non sono state all’altezza delle esigenze del Paese, ma a fare molto sono anche le condizioni di lavoro, compreso il mancato rinnovo dei contratti che è durato 10 anni.

L’ultimo contratto è del 2018 e contempla una media di 6.601 euro lordi (4.291 netti circa) per i medici, su 13 mensilità, e di 2.600 lordi e 1.690 netti per gli infermieri. A una prima vista questi compensi sembrerebbero adeguati, ma ci si dimentica che dal 2009 al 2019 si è perso moltissimo potere di acquisto: facendo gli opportuni aggiustamenti, ci si accorge che solo i dirigenti hanno visto un aumento positivo, mentre il resto del comparto, compresi i medici non dirigenti, hanno perso molto.

Inoltre, tale riduzione non verrà compensata dalle indennità previste dalla legge di bilancio pari a 1.249 euro lordi l’anno per gli infermieri e 843 euro lordi l’anno per le altre professioni sanitarie a cui si aggiungono gli assistenti sociali e gli operatori sociosanitari. C’è poi un altro dato che balza all’occhio: i compensi possono essere anche molto diverse a seconda della Regione, passando dai 2.294 euro della Provincia Autonoma di Bolzano ai 1.561 della Basilicata. La situazione più grave si registra comunque nei sistemi di emergenza/urgenza, dove si registrano carenze attuali di 4.000 medici e 10.000 infermieri rispetto alle necessità.

E il futuro non sarà più roseo, dato che gli ultimi concorsi per questa specialità sono andati deserti, che il 50% delle Borse di Studio in Medicina di Emergenza-Urgenza non sono state assegnate nell’anno accademico 2021/22 e che il 18% degli studenti nell’anno accademico 2020/21 ha abbandonato il corso di studi.
D’altronde, questa è la specialità meno retribuita, con il maggior carico di lavoro e di denunce sanitarie… ci si chiede, quindi, perché un neolaureato dovrebbe sceglierla. I dati sono inequivocabili: sarebbe necessaria una svolta… speriamo che arrivi con i fondi del PNRR.

Concludiamo con le parole di Tonino Aceti, presidente di Salutequità, «continuare a rafforzare l’organico del SSN è fondamentale, come pure riconoscere con i fatti il giusto valore del personale del SSN, che in questi mesi ha dedicato la vita per curare e assistere ogni persona del nostro Paese. Servono condizioni lavorative e retribuzioni all’altezza del loro livello di responsabilità, professionalità e dell’importante livello di fiducia che la popolazione ripone nei loro confronti. Riconoscendo questo valore sarà possibile ricreare quel grip del SSN nei confronti dei professionisti sanitari, che sempre più spesso vengono sollecitati da proposte sempre più concorrenziali del settore privato, e quindi aumentare anche il livello di qualità dell’assistenza erogata ai pazienti».

Stefania Somaré