Trauma Center a Careggi, progettazione integrata

Trauma Center a Careggi, progettazione integrataLa realizzazione di un moderno Trauma Center è frutto della stretta integrazione fra le discipline progettuali tradizionali e le istanze delle più avanzate tecnologie digitali, a supporto dell’attività diagnostica e chirurgica.

Il progetto per il completamento del DEAS presso l’AOU Careggi è stato sviluppato da MAIN Management & Ingegneria, nel contesto di un appalto integrato di progettazione ed esecuzione che comprendeva l’ultimazione del Pronto soccorso, un nuovo Blocco operatorio, un reparto di Diagnostica per immagini e interventistica, spazi per attività della Farmacia e numerosi altri interventi complementari.

«Si è trattato di un appalto di tipo complesso, comprensivo della fornitura di sistemi e strumenti per attività chirurgica e diagnostica», afferma l’ing. Nicola Freddi (MAIN), progettista dell’opera aggiudicata all’A.t.i. composta da NBI, Ar.Co. Lavori, Philips e SIDEM nella primavera del 2014.
Il progetto ha interessato sia l’allestimento “chiavi in mano” dei due livelli al rustico (piani -1, per la Diagnostica strumentale, e 0, per il Pronto Soccorso), sia i lavori di completamento funzionali all’attivazione del Pronto Soccorso (accessi veicolari, camera calda, diagnostica d’urgenza e dipartimentale), più ulteriori opere ricomprese nelle varianti intervenute successivamente.

Ing. Nicola Freddi – Main MGT

Per l’area diagnostica, l’approccio metodologico ha inteso definire flussi coerenti con la soprastante piattaforma dell’emergenza-urgenza, in modo da separare nettamente i percorsi dei pazienti esterni, attestati sulla parte pubblica dell’edificio, da quelli dei pazienti interni.
Questa impostazione è stata confermata e rafforzata anche quando il processo di riorganizzazione della rete ospedaliera toscana ha imposto il trasferimento all’interno del DEAS del Pronto Soccorso ortopedico, precedentemente situato nel CTO.

In luogo delle aree originariamente riservate alla Farmacia e alla logistica generale, in gran parte ri-allocate all’esterno del DEAS, sono stati perciò inseriti gli ambienti destinati ai pazienti a bassa priorità, creando di fatto un vero e proprio Trauma center su due livelli.

Asepsi progressiva

Quali sono stati gli ambiti interessati dalla progettazione?
«Abbiamo considerato praticamente ogni aspetto: funzionale, per individuare un assetto degli spazi coerente con le esigenze delle attività e dei processi; architettonico, per definire materiali, finiture, colori e requisiti ambientali più idonei; impiantistico, sia sotto il profilo igienico, sia per correlare gli impianti alle tecnologie medicali, e antincendio; strutturale, per la verifica dei carichi dalle apparecchiature da installare.

Tutti questi aspetti sono stati accuratamente integrati fra loro, per esempio abbiamo impiegato software per la progettazione tridimensionale, in modo da valutare a priori ingombri ed eventuali interferenze, prevenendo così eventuali problematiche in fase di installazione. Un fattore di fondamentale importanza è consistito nell’affiancamento alle imprese per la parte dell’ingegneria clinica connessa alle forniture tecnologiche, tutte estremamente evolute».

Quali sono stati gli aspetti progettuali di maggiore interesse?
«Uno dei tratti distintivi è consistito nel costante riferimento agli aspetti prestazionali delle normative, abbandonando il tradizionale approccio prescrittivo in particolare per quanto attiene la parte impiantistica.

Oggi può non essere una novità, ma bisogna considerare che la prima versione del progetto risale al periodo della gara d’appalto, svoltasi nel 2012.

L’assetto spazio-funzionale di alcune aree, per esempio, è caratterizzato dal progressivo incremento dell’asepsi che procede per gradi di sterilità crescenti – dalle aree pulite situate in corrispondenza degli ingressi verso i locali con massimo livello di qualità dell’aria – interessando non solo i percorsi diagnostico-terapeutici (pazienti, personale) ma anche quelli delle merci (strumenti chirurgici, divise, calzature ecc.).


Il Blocco operatorio – reparto nel quale è stata prevista una compresenza di almeno 150 persone durante i picchi dell’attività – è stato articolato in 4 sezioni, corrispondenti ad altrettanti compartimenti antincendio e caratterizzate da livelli di asepsi crescenti – nell’ordine toracica-vascolare (4 sale operatorie), cardiochirurgia (3 sale), chirurgia d’urgenza (3 sale), neurochirurgia, politraumatizzati, trapianti (4 sale).

Questa modalità di organizzazione per aree indipendenti anche sotto il profilo ambientale non è funzionale al solo contenimento del rischio di contaminazione nei confronti dei pazienti. Presenta infatti ulteriori vantaggi sia dal punto di vista della sicurezza – per esempio, in caso di esodo – sia della gestione dell’attività – in quanto permette il funzionamento delle sezioni del comparto chirurgico in relazione alle effettive necessità».

Logistica dei materiali

L’assetto spazio-funzionale del Blocco operatorio presenta flussi organizzati secondo un’inusuale griglia ortogonale.
«Il servizio di sterilizzazione dell’ospedale è attualmente esternalizzato e la relativa centrale si trova in un altro edificio. Le necessità logistiche legate ai cospicui flussi di materiale da e verso il DEAS hanno impattato notevolmente sui percorsi interni al Blocco operatorio.

Partendo dal corridoio pulito d’accesso, i flussi procedono in direzione trasversale dalle aree pulite verso quelle sterili, attraversando una prima fascia composta prevalentemente dagli spogliatoi del personale chirurgico – che si prevede saranno affiancati, in futuro, da un sistema automatico per la distribuzione personalizzata automatica del vestiario e delle calzature sterilizzate – e dai locali per la substerilizzazione, con relativi depositi, e per lo stoccaggio delle apparecchiature radiologiche.

Il corridoio mediano mette in diretta comunicazione questi spazi di supporto con l’area sterile. Ciascuna delle sezioni quattro specialistiche dispone di una propria sala kit ampia circa 20 m², dalle quali gli strumenti vengono distribuiti alle sale operatorie.
Queste ultime sono delimitate, sul lato opposto, da un corridoio di servizio utilizzato anche per le operazioni di manutenzione su impianti e apparecchiature delle sale operatorie. Non si tratta perciò del classico corridoio sporco, preposto al mero allontanamento dei rifiuti, ma di uno spazio connettivo di supporto dal quale si accede, per esempio, alla sala multimediale per le attività didattiche».

Quali sono le principali caratteristiche delle sale operatorie?
«Si tratta di ambienti composti da sistemi prefabbricati, realizzati con materiali, componenti e tecnologie più evoluti. Tre sale sono di tipo ibrido, di cui due dotate di angiografo monoplanari e una di angiografo biplanare. Una delle sale monoplanari è destinata ai trapianti: è ampia circa 90 m² ed è equipaggiata con due tavoli chirurgici, per l’espianto degli organi da vivo.

Una delle varianti al progetto ha interessato il trasferimento delle 7 sale operatorie (2 sale per Elettrofisiologia, 3 per Emodinamica, 1 sala ibrida e 1 polivalente) precedentemente ospitate nel vecchio blocco operatorio del pad. A, afferenti alla Cardiologia Interventistica e alla Stroke Unit. Entro ottobre 2018, il primo piano del DEAS sarà perciò dotato di 23 sale operatorie complessive, compresa quella per la Broncologia ubicata al livello 0».

La centralità del progetto

La commessa è stata portata a termine con lo strumento dell’appalto integrato: qual è la sua valutazione sull’affidamento congiunto della progettazione ed esecuzione dei lavori, previsto dalla nuova normativa in tema di appalti pubblici?

«La progettazione è un momento fondamentale del processo costruttivo, in quanto permette di tradurre dal punto di vista tecnico una serie di istanze, esigenze e requisiti afferenti alle professionalità di ambito sanitario, indirizzate al miglior funzionamento dell’ospedale.

Personalmente ritengo che l’appalto integrato sia stato uno strumento efficace, soprattutto nel caso di progetti particolarmente complessi. Purtroppo di quello strumento si è spesso abusato, inducendo il legislatore a eliminarlo – con il D.Lgs. 50/2016 – salvo poi reintrodurlo – con il D.Lgs. 56/2017, sotto altro nome – per alcune tipologie d’appalto.

La principale criticità riguarda i tempi di realizzazione. Dal punto di vista etico, la possibilità di disporre in tempi congrui di un determinato reparto o tecnologia può fare la differenza per la sopravvivenza dei pazienti. È corretto risparmiare, ovviamente, ma un’eccessiva diminuzione dei costi comporta spesso processi realizzativi più lenti e, nel tempo, mancati introiti da parte dell’Azienda Ospedaliera, che si traducono in una minore redditività dell’investimento.

Il ricorso a un contratto “chiavi in mano” permette di eliminare gran parte di questi problemi: garantisce certezza dei costi e dei tempi, consentendo di valorizzare al meglio e più rapidamente le risorse investite e le professionalità presenti nell’Azienda Ospedaliera.

Il nodo da sciogliere rimane comunque il ruolo del progettista che, anche nell’affidamento congiunto, ha come committente l’impresa invece dell’Azienda Ospedaliera. Di conseguenza, per l’impresa l’attività di progettazione può continuare a essere considerata un costo, con tutto ciò che ne consegue. Al contrario, ritengo opportuno attribuire una maggiore responsabilità al professionista.

Una soluzione potrebbe consistere nell’affidamento della direzione dei lavori al progettista, che ha una visione completa e approfondita dell’opera da realizzare. In questa ipotesi l’azienda dovrebbe dotarsi di una squadra di tecnici ben preparati, in affiancamento al Rup, e la commissione di collaudo dovrebbe svolgere un ruolo molto simile all’alta sorveglianza».

Giuseppe La Franca
architetto