Tubercolosi: l’importanza di test diagnostici più performanti

La tubercolosi è una malattia infettiva subdola, che può rimanere a lungo latente e spesso pone notevoli difficoltà nella ricostruzione della catena del contagio e nella conseguente attuazione di opportune strategie di prevenzione.

Paradigmatico al riguardo è il racconto di un medico, Martino Godoi, sorpreso da una diagnosi del tutto imprevista.

«La diagnosi mi è stata posta attraverso l’analisi del lavaggio broncoalveolare e per me è stato difficile affrontarla, dato che non avevo avuto particolari esposizioni, al di là del fatto che provengo dal Cile, un Paese caratterizzato da una situazione epidemiologica differente rispetto all’Italia», commenta.

«Inoltre, ero stato vaccinato alla nascita con BCG. In altre parole, mi sentivo al sicuro. La diagnosi è stata molto rapida e soprattutto inattesa anche perché fino a quel momento, nella mia breve esperienza lavorativa di medico, il massimo contatto che potevo avere avuto era avvenuto con pazienti immigrati da Paesi potenzialmente a rischio, ma sempre con l’impiego di DPI appropriati: mi resta perciò il dubbio su come possa essere avvenuto il contagio».

È forse questo il primo interrogativo che qualsiasi paziente si pone quando viene a conoscenza di aver contratto un’infezione, a maggior ragione se da micobatterio tubercolare. Il più delle volte, però, non è possibile formulare una risposta certa.

«L’Italia, sotto il profilo epidemiologico, è un crocevia di immigrazione e in un contesto così vario diventa fondamentale identificare la fonte di un’infezione e poter interrompere la catena della trasmissione», ipotizza Godoi, che dalla propria esperienza trae uno spunto costruttivo.

«La prevenzione è fondamentale in un Paese che, come l’Italia, mira all’eliminazione del patogeno, tanto più che la tubercolosi è una patologia molto subdola, che non dà luogo a una sintomatologia acuta nel primo periodo, ma può presentarsi a distanza di anni».

Alla luce di queste considerazioni si può affermare che le priorità effettive sono la tempestività e l’accuratezza nell’intercettazione dei pazienti affetti.

«La malattia tubercolare e l’infezione tubercolare sono ancora presenti in Italia e, per quanto siano un problema di nicchia, non devono essere sottovalutate: dobbiamo perciò essere in grado di diagnosticare e trattare tutti i nuovi casi», commenta Daniela Maria Cirillo, capo dell’Unità di Patogeni batterici emergenti dell’Irccs Ospedale San Raffaele di Milano.

«I test che utilizziamo sono i migliori tra quelli disponibili, ma portano in ogni caso al trattamento – con le relative implicazioni sulla vita ordinaria – di persone per le quali non abbiamo alcuna certezza di progressione dall’infezione alla malattia. È dunque auspicabile che in futuro siano messi a punto test che consentano di trattare soltanto gli individui in cui l’infezione ha un alto rischio di progressione».

Progetto realizzato grazie al contributo non condizionante di Diasorin