Tumore al seno e radioterapia: le novità da ESMO

Un approccio radioterapico ipofrazionato non determina un aumentato rischio di sviluppare linfedema nelle pazienti e consente di ottenere un esito clinico simile all’approccio normofrazionato.

Tra gli argomenti trattati in occasione del congresso annuale della Società Europea di Oncologia Medica c’è stato l’uso della radioterapia nel tumore al seno. In particolare, sono stati presentati i risultati di uno studio francese, HypoG-01, incentrati su un trattamento radioterapico più breve rispetto a quelli convenzionali.

Nel lavoro, pubblicato su Annals of Oncology, gli autori hanno valutato l’efficacia di una radioterapia ipofrazionata condotta con radiazioni da 40 Gy in 15 frazioni, confrontandola con una radioterapia normofrazionata da 50 Gy in 25 frazioni. 1265 le pazienti coinvolte nello studio randomizzato, operate per tumore alla mammella di stadio T1-3, N0-3 o M0, con mastectomia e rimozione dei linfonodi ascellari.

Dopo un follow-up medio di 4,8 anni, gli autori possono dire che la radioterapia ipofrazionata utilizzata consente di raggiungere esiti simili a quelli della radioterapia normofrazionata. Vediamo insieme ad Antonella Ciabattoni, segretario alla presidenza AIRO, radioterapista oncologo dell’Ospedale San Filippo Neri – ASL Roma 1, quali sono i vantaggi del trattamento radioterapico ipofrazionato.

Percorsi più brevi per una qualità di vita migliore

Spiega la dott.ssa Ciabattoni: “l’aspetto innovativo della radioterapia ipofrazionata è nella sua capacità di ridurre il numero totale di sedute, senza comprometterne l’efficacia. Questo permette alle pazienti di completare il ciclo di cure più rapidamente e di tornare più velocemente alla loro vita normale, limitando gli effetti collaterali e migliorando il benessere generale, con un impatto decisamente più positivo sulla qualità della vita.

Inoltre, questo approccio permette una buona integrazione della radioterapia con altre terapie sistemiche, come la chemioterapia, e migliora l’accesso al trattamento per un numero maggiore di pazienti. Per questo motivo ci stiamo orientando verso regimi di trattamento sempre più brevi, fino a sole 5 frazioni: in altre parole, stessa efficacia in meno tempo e con minor disagio per le donne con tumore al seno”.

Inoltre, se prima si temeva che questo approccio radioterapico potesse aumentare il rischio di sviluppare linfedema, i risultati dello studio dicono il contrario: i due gruppi di pazienti hanno infatti sviluppato linfedema con la stessa frequenza nel periodo di follow-up preso in considerazione.

Radioterapia ipofrazionata non favorisce il linfedema

La non inferiorità del trattamento radioterapico frazionato rispetto allo sviluppo di linfedema, in confronto al trattamento standard, è una scoperta decisamente positiva, soprattutto e si pensa che il linfedema è un effetto collaterale che porta disagio tanto estetico quanto funzionale. In media questa patologia si sviluppa nel 20% delle donne trattate con mastectomia e asportazione dei linfonodi ascellari associate a radioterapia.

Un numero importante di pazienti nelle quali il linfedema determina un accumulo di linfa locale, a carico dell’arco superiore in questo caso, con conseguente gonfiore e indurimento dei tessuti e dolore. Il gonfiore determina inoltre una perdita di funzionalità dell’arto colpito.
Una volta manifestatosi, il linfedema diventa cronico in queste pazienti e può essere “solo” gestito, di solito attraverso sedute di linfodrenaggio manuale che aiutano la linfa a scorrere nel vasi linfatici e a tornare verso i dotti centrali.

Lo studio: Annals of Oncology (2024) 35 (suppl_2): S309-S348. 10.1016/annonc/annonc1577

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