Un cervello in salute limita l’insorgenza di disturbi neurologi e neurodegenerativi

Sono in crescita le patologie neurologiche e neurodegenerative: atteso un progressivo incremento nei prossimi decenni, complice l’allungamento della vita media, la mancanza di trattamenti terapeutici risolutivi, la scarsa efficacia di misure preventive.

Prioritari, dunque, una più accurata profilazione delle condizioni cliniche che rientrano in questo cluster di patologie e l’avvio di azioni di sensibilizzazione alla popolazione, e strategie terapeutiche, preventive laddove possibile, funzionali alle più recenti acquisizioni scientifiche, come sottolinea Human Brain, iniziativa promossa da Fondazione Prada (Milano).

Salute del cervello

Difendere la salute del cervello è la pima azione per perseguire e mantenere la salute mentale, quanto più possibile e quanto più a lungo possibile: un “concetto” recente, che ancora si tende a sottostimare e sottovalutare.

«La salute del cervello», sottolinea Claudio Bassetti, ex presidente della Europen Academy Neurology, «è il prerequisito per il raggiungimento della salute generale: fisica, mentale, psicologica e di ogni ambito che attiene al benessere.
Conservare la salute del cervello, significa preservarsi dal rischio dei disturbi e delle malattie neurologiche, sensibilmente aumentato negli ulti 6-7 anni.

In quest’arco di tempo sono migliorate anche le conoscenze di queste patologie, oggi approcciate in maniera olistica. Il cervello, infatti, potrebbe manifestare diversi disturbi con sintomatologie simili ma dalle cause sottostanti differenti».
Concetto che è anche alla base di “One brain, one life, one approach”.

«Occorre pensare alla salute del cervello», continua Bassetti, «in prevenzione, ancora prima che si inizi a perderla a seguito di un evento come un ictus. Occorre proteggere, promuovere la salute e la resilienza del cervello in una fase precoce della nostra vita.
L’OMS sottolinea che la salute del cervello è di per sé un outcome cruciale perché implicato nelle funzioni del sistema nervoso autonomo endocrino, nella proliferazione delle cellule cancerogene e molto altro, ma è anche mediatore importante per outcome di ordine sociale».

I disturbi neurologici nel mondo

Almeno 1 individuo su 3 soffre o soffrirà di una patologia neurologica e si stima che 1 individuo su 2 avrà a che fare in maniera indiretta o diretta con questo ordine di malattie, che si inquadrano tra i primi posti per disabilità e mortalità, e dai costi elevatissimi: intorno ai 300 miliardi solo in Europa e con dati in crescita, come conferma anche una indagine on-going dell’EAN (European Academy Neurology) in 47 Paesi europei.

La preservazione della salute del cervello, oltre a interventi sanitari e di politica sanitaria, richiede anche un atto volontaristico: vita sana, dieta corretta, pratica fisica, impegno in attività cognitive, eliminazione di fattori di rischio come fumo e alcool. Tali comportamenti assunti responsabilmente dalla persona possono impattare in maniera importante sulla salute del cervello e generale. In un contesto clinico l’attenzione va rivolta in maniera specifica al trattamento di alcune condizioni: ipertensione, depressione, cataratta, colesterolo, la prevenzione di trami alla testa.

Sul piano sociale, occorre investire in politiche sociali e sanitarie, migliorare i contesti ambientali, promuovere l’istruzione.
Un lavoro pubblicato di recente su Lancet mostra che fino al 40% delle demenze possono essere prevenute con strategie dedicate, implementate in fase precoce e nella mezza età; al pari benefici possono essere ottenuti anche per diversi altre patologie, come l’ictus e altri disturbi neurologici.

Il ruolo del sonno

Una ricerca della European Sleep Foundation, pubblicata su Eur J Neurol 2020, attesta che di media si dorme nell’epoca moderna 40 minuti in meno, con aumento di oltre 30% della prevalenza dei disturbi del sonno/risvegli notturni, si assumono il 20% in più di più ipnotici, si verificano tra il 10 e il 30% in più di incidenti stradali per effetti correlati alla sonnolenza.
Inoltre, vi è evidenza che la perdita del sonno impatti per il 10-20% su demenza, ictus e patologie cardiovascolari.

«Il cervello viene ripulito dal sonno: Uno studio su Nature del 2019 ha dimostrato che l’attivazione di un flusso linfatico è in grado di eliminare le proteine tossiche durante il sonno».

In Europa mancano politiche dedicate alla salute del cervello, risorse lavoro e ricerca dedicata.
L’OMS ha lanciato un piano di azione (Global Action Plan for Brain Health) per i disturbi neurologici, riconoscendoli per la prima volta come una priorità di salute pubblica, invitando quindi tutte le nazioni ad avviare progetti per potenziarne la cura.

La prevenzione delle demenze

Ci si attende che le demenze, come diversi altri disturbi e malattie neurologiche triplicheranno entro il 2050.
«Il rischio di demenza», spiega Kristine Yaffe, professore di Psichiatria, Neurologia e Epidemiologia all’UCSF di San Francisco (US), «è per il 50% genetico e per la restante metà a fattori ambientali, dunque modificabili: su questi occorre agire.
A oggi sono scarsi i farmaci efficaci, sebbene alcune notizie positive arrivino da Aducanumab (ndr: anticorpo monoclonale capace di legarsi alla beta-amiloide, responsabile della formazione delle placche nel cervello nella malattia di Alzheimer, approvato da EMA), ma in generale da 25 anni la ricerca e le terapie sono in stallo.
Occorre incentrare l’attenzione sui fattori di rischio modificabili per capire i meccanismi che si associano allo sviluppo delle demenze, migliorare le capacità di intercettare i soggetti ad alto rischio, migliorare la prevenzione e le opzioni di trattamento».

Il The Lancet Commission of experts suggerisce almeno nove fattori di rischio su cui intervenire, per limitare l’insorgenza di demenze, anche in un’ottica di attenzione preventiva: istruzione, esercizio fisico, coinvolgimento sociale, fumo, gestione e monitoraggio di ipertensione, depressione, capacità/perdita uditiva, diabete, obesità.
Fattori cui, più di recente si sono aggiunti anche consumo di alcool, eventi tramatici alla testa, inquinamento ambientale.

Lo stile di vita

Una dozzina di studi di coorte di popolazione o di singole coorti, sembrano dimostrare un più basso, o comunque stabile, decadimento cognitivo e delle demenze in diversi paesi, fra questi Stati Uniti, Regno Unito, Paesi Bassi, Svezia.
Mentre sei metanalisi suggeriscono una riduzione dell’incidenza delle demenze del 13% negli ultimi 25 anni.

«Le motivazioni di questo trend», prosegue Yaffe, «non sono ancora chiare, le ipotesi si orientano verso un miglior controllo delle patologie cardiovascolari, in quanto lo scenario si è modificato con l’ingresso di molecole per il trattamento dell’ipertensione e del diabete, ma anche dell’alimentazione e della scolarizzazione». Un rapporto della National Academy of Science riferirebbe l’impatto positivo sulla demenza da attività fisica, attività cognitiva e controllo della pressione arteriosa.

Sono attesti a breve i risultati di uno studio multi-dominio di Real World (SMARRT, Alzheimer Risk Reduction Study) che ha arruolato soggetti sani, anziani, cognitivamente sufficientemente attivi ma con almeno due fattori di rischio (inattività, ipertensione, disturbi del sonno, scarsa socializzazione, disturbi dell’umore, sottoposti a un programma di intervento personalizzato su specifici fattori, finalizzato a valutare l’influenza dei cambiamenti comportamentali su cognitività, qualità della vita, fino al miglioramento del rischio di demenza.

Il futuro

Ci sono almeno quattro priorità da perseguire per migliorare il trend delle demenze/disturbi cognitivi: capire i meccanismi che a livello cellulare, animale e umano sottendono la patologia, con particolare attenzione su sonno e attività fisica.

«Studi recenti sembrano supportare il legame fra attività fisica e cognitività. Ovvero, in presenza di un elevato carico di B-amiloide», precisa l’esperta, «l’attività fisica sembra in grado di impattare positivamente sul deterioramento cognitivo nel tempo. Occorre inoltre indagare sulla causalità/eziologia tramite esperimenti e sull’uomo con studi controllati randomizzati. Lo studio SPRINT MIND, per esempio, sembra dimostrare che un controllo più incisivo della pressione sistolica possa ridurre il rischio di lieve deterioramento cognitivo e demenza.
Oltre a questo, per arrivare alla casualità è possibile ricorrere al modello di randomizzazione mendeliana, utilizzando cioè alcune variabili strumentali. È necessario anche intervenire meglio su specifiche popolazione, non solo ad altro-medio reddito su cui oggi si è incentrata la ricerca, finalizzato a comprendere se e in quale diversa modalità e misura impattano i fattori di rischio e gli outcome».

Francesca Morelli