4° Rapporto Gimbe: sanità pubblica sul viale del tramonto?

È una fotografia impietosa quella che emerge dal 4° rapporto Gimbe sulla sostenibilità del Sistema Sanitario Nazionale, presentato martedì 11 giugno in Senato.

«Nel dicembre del 1978 veniva istituito il SSN, un modello di sanità pubblica ispirato a principi di equità e universalismo, che nel tempo ha consentito di raggiungere risultati eccellenti in termini di salute e che da sempre costituisce il fiore all’occhiello del nostro Paese che il mondo continua a invidiarci.
Tuttavia, questo 40° compleanno avrebbe richiesto un clima diverso, visto che ormai il centro del dibattito è occupato dalla sostenibilità del SSN, che sta vivendo una crisi senza precedenti.
Si assiste così a un lento e progressivo sgretolamento della più grande opera pubblica mai costruita in Italia nell’assordante silenzio di una politica che negli ultimi 10 anni non ha mai avuto il coraggio di mettere la sanità pubblica al centro dell’agenda di governo, ignorando che la perdita di un servizio sanitario pubblico, equo e universalistico, oltre a compromettere la salute delle persone e a ledere un diritto fondamentale tutelato dalla Costituzione, porterà a un disastro economico e sociale senza precedenti», ha esordito con rammarico Nino Cartabellotta, presidente GIMBE, prima di presentare i dati del quarto rapporto.

«L’Italia», ha proseguito Cartabellotta, «siede nel G7 anche se la politica ha fatto precipitare il finanziamento pubblico in sanità ai livelli dei Paesi dell’Europa orientale. Dal 2010 a oggi sono stati sottratti 37 miliardi di euro alla sanità per fronteggiare emergenze finanziarie, fiduciosi che comunque il SSN avrebbe fornito risultati eccellenti, senza rendersi conto che il nostro servizio sanitario nazionale non va soltanto salvato ma anche potenziato».

Il rapporto ha analizzato la spesa complessiva per la salute in Italia nel 2017.
Questa è stata di oltre 200 miliardi di euro, di cui 154,9 miliardi di spesa sanitaria – 113 miliardi di spesa sanitaria pubblica e 41,8 miliardi di spesa sanitaria privata di cui 35,8 miliardi a carico delle famiglie e 5,8 miliardi da fondi collettivi e polizze sanitarie – 41,8 miliardi di spesa sociale di interesse sanitario (pensioni di invalidità, permessi retribuiti…) e 7,3 miliardi si spesa fiscale (deduzione delle spese sanitarie, pensioni integrative).

Al di là delle cifre, tuttavia, è importante capire se i 154,9 miliardi di spesa sanitaria assicurino un adeguato ritorno in termini di salute: il rapporto evidenzia che il 19% della spesa pubblica, il 40% di quella delle famiglie e circa il 50% di quella intermediata non garantisce alcun ritorno in termini di miglioramento di salute e di qualità della vita delle persone.
Da una parte c’è il bisogno di salute dei cittadini, dall’altro ci sono prestazioni e servizi erogati.
Questi due panieri non sono sovrapponibili così che emerge una fetta di sovrautilizzo di servizi e prestazioni sanitarie inefficaci e un sottoutilizzo di servizi e prestazioni efficaci e appropriate che riduce il value for money.

Il rapporto ha quindi individuato le quattro determinanti della crisi di sostenibilità del sistema sanitario: definanziamento pubblico, sostenibilità ed esigibilità dei nuovi LEA, sprechi e inefficienze, espansione del secondo pilastro.

Per quanto attiene al primo punto, dal 2010 al 2019 il sistema sanitario ha perso 37 miliardi e non ci sono speranze future se è vero che il DEF riduce progressivamente la percentuale di spesa sanitaria sul prodotto interno lordo e la Legge di Bilancio 2019 che prevede 8,5 miliardi nel triennio 2019-2021 è subordinata a incerte previsioni di crescita e alla stipula del Patto per la Salute.

Per quanto attiene ai LEA, Cartabellotta ha incalzato: «è ormai inderogabile un consistente sfoltimento delle prestazioni per mettere fine a un paradosso inaccettabile: in Italia il finanziamento pubblico tra i più bassi d’Europa convive con il paniere LEA più ampio, garantiti tuttavia solo sulla carta».

Le stime per quanto attiene a sprechi e inefficienze ammontano – stando al rapporto – a 21,6 miliardi ripartiti tra sovra-utilizzo di prestazioni e servizi inefficaci, frodi e abusi, acquisti a costi eccessivi, sottoutilizzo di prestazioni appropriate, inefficienze amministrative…

Quanto, infine, all’espansione del secondo pilastro, Cartabellotta è lapidario: «continuare a dirottare risorse pubbliche sui fondi sanitari tramite le agevolazioni fiscali e non riuscire a rinnovare contratti e convenzioni e, più in generale ad attuare le inderogabili politiche sul personale è un chiaro segnale di privatizzazione del SSN che configura un grave atto di omissione politica».

Insieme a tutto questo ci sono le aspettative dei cittadini, spesso troppo medicalizzati ma poco inclini a modificare le proprie abitudini, e le istanze di regionalismo differenziato.

A fronte di tutto questo, GIMBE ha stimato il fabbisogno di salute al 2025 pari a 230 miliardi di euro, stima effettuata sulla base di una media di spesa sanitaria pro capite nei Paesi del G7.

Tra le proposte per il salvataggio del sistema sanitario un adeguato rilancio del finanziamento pubblico con una soglia minima garantita di spesa sanitaria sul PIL e un incremento percentuale annuo in termini assoluti almeno doppio all’inflazione, associata da un rilancio a breve termine dato da un eventuale disinvestimento di uno o più sussidi individuali (80 euro, reddito di cittadinanza…).

A questo va associata una ridefinizione dei LEA, un piano nazionale di riduzione di sprechi e inefficienze, una revisione di criteri di rimborso e tetti di spesa sulla base di una value based heathcare.

A fronte di questo quadro fortemente negativo, meno pessimistico è l’approccio di Andrea Urbani, direttore generale Programmazione Sanitaria Ministero della Salute, che ha ricordato come «il nostro sia ormai l’unico servizio sanitario universalistico insieme a quello del Regno Unito le cui valutazioni non vanno effettuate sulla spesa ma sui risultati. E il principale risultato è che siamo il secondo Paese per aspettativa di vita, tralasciando piccoli contesti».

«L’importante è comprendere se vengono spese bene le risorse disponibili. Proprio per questo è stato messo in atto un sistema di monitoraggio che a oggi monitora l’85% della spesa sanitaria. E i risultati suggeriscono un’incapacità gestionale da parte degli enti locali».

«È innegabile che si tratti di un momento di grande difficoltà, ma credo ci sia una volontà trasversale di tenere in piedi il SSN. Esistono spinte volte a virare da un sistema universalistico a uno selettivo, ma ritengo siano minoritarie.
In questo momento stiamo discutendo il Patto per la Salute con le Regioni e il Decreto Calabria che interviene sulla carenza dei medici specialistici.
La situazione è difficile ma voglio rivendicare che l’intesa raggiunta con le Regioni non ha visto sottrarre neanche un centesimo rispetto a quanto era stato indicato.
Inoltre, per l’annosa questione del pay-back, dopo 6 anni di balletti tra Aifa, MEF e Regioni sono stati finalmente sbloccati 2,4 miliardi.
È fondamentale che nella prossima legge di bilancio non vengano previsti ulteriori tagli alla sanità, alle risorse per i contratti dei medici e alle spese necessarie a tutelare la salute dei cittadini nel nostro Paese” sono state le parole di Giulia Grillo, Ministro della Salute».

Elena D’Alessandri