Casi clinici difficili? Da Stanford un servizio ad hoc

In medicina esperienza e informazioni pregresse possono essere di grande supporto sia al singolo medico sia all’équipe clinica quando si devono prendere decisioni terapeutiche, soprattutto in presenza di casi difficili.

Il team di ricerca di Nigam Shah, professore di Medicina e Scienza dei dati medici alla Stanford Medicine, ha sviluppato una nuova facility per i medici ospedalieri chiamata Clinical Informatics Consult Service: si tratta di un servizio on demand che i medici possono utilizzare quando sono in difficoltà con la diagnosi o, ancora, quando il trattamento stabilito non funziona.

Fatta la richiesta, i medici ricevono una serie di informazioni ottenute dalle documentazioni pregresse presenti negli archivi ospedalieri e del tutto anonime, di fatto potendo studiare decine se non centinaia di casi simili al proprio per capire come muoversi al meglio: è come potersi confrontare con decine se non centinaia di colleghi per un secondo parere.

Secondo il prof. Shah, i medici desiderano poterlo fare da tempo, ma fino a qualche anno fa la tecnologia non lo permetteva: raccogliere e suddividere per specialità tutte le informazioni contenute negli archivi ospedalieri richiedeva troppo impegno e dispendio economico. Per fortuna le cose sembrano essere cambiate. Questo servizio è stato utilizzato in via sperimentale nell’ospedale americano tra il 2017 e il 2018: i risultati relativi i primi 100 pazienti sono stati quindi raccontati in un paper, con autori lo stesso prof. Shan e i colleghi Alison Callahan, ricercatrice, e Saurabh Gombar, assistente professore.

Prof. Nigam Shah (Credits: Steve Fisch)

Come funziona il servizio nel dettaglio? Quando un medico è in difficoltà può fare una richiesta al team di ricerca che la traduce in un codice dato poi in pasto a un apposito processore che ricerca nei file salvati quelli più pertinenti in termini di storia clinica, segni vitali, risultati di laboratorio e prescrizioni, ma anche di effetti avversi a un dato trattamento e così via.

In circa 72 ore, il team è in grado di fornire dati pertinenti al clinico che, usandoli, può confermare la propria diagnosi o richiedere nuovi esami per approfondirla, oppure decidere di modificare il trattamento avviato.

Uno dei casi riportati riguarda per esempio un bambino con una particolare patologia alla mano: i medici volevano sottoporlo a una serie di test non invasivi e invasivi, la consultazione con oltre cento file del passato li ha portati a scegliere un trattamento con steroidi, perché questo aveva già ottenuto successo. E il bambino è stato meglio.

Nello studio gli autori hanno effettuato tutto il processo di ricerca utilizzando sia il dataset dello Stanford Medicine, sia quelli di un database affidabile disponibile in commercio: volevano infatti assicurarsi che gli eventuali risultati positivi non fossero dipendenti dal dataset di partenza, ma legati proprio al metodo proposto.

Bene, le risposte ottenute per ogni richiesta medica usando i due database avevano un accordo del 70%: non certo la perfezione, ma è una percentuale che il prof. Shah ritiene positiva, perché è più o meno la percentuale di accordo che si trova tra studi randomizzati.

C’è poi un altro aspetto da sottolineare: i clinici che hanno utilizzato il servizio si sono detti molto soddisfatti, il che è importante se si vuole renderlo un servizio stabile dell’ospedale.

Gli ideatori del servizio contano che possa avere delle applicazioni anche fuori dalle corsie ospedaliere, per esempio in ambito di ricerca. Al momento l’ospedale americano sta utilizzando il servizio che è disponibile gratuitamente per usi non commerciali chiedendo la licenza all’Office of Technology Licensing della Stanford University.

(Lo studio: NEJM Catalyst Innovations in Care Delivery 2021; 10.DOI:https://doi.org/10.1056/CAT.21.0224)

Stefania Somaré