L’Italia è, al momento, il terzo Paese europeo per numero di studi clinici registrati, dopo Spagna e Germania. Dopo una fase di stallo legata alle conseguenze della pandemia da Sars-CoV-2, nel 2022 i clinical trial sono, infatti, tornati ai livello del 2019, con 713 sperimentazioni attive e concentrate sulle fasi II e III.

Dal punto di vista degli investimenti, nel 2022 sono stati 1,9 miliardi, pari al 6,8% del totale degli investimenti nel nostro Paese; da ultimo, si stima che ogni euro investito in ricerca consentirà un risparmio di 2,77 euro per il Sistema Sanitario.

Eppure, i tempi per riuscire a veder attivare una sperimentazione sono ancora troppo lunghi, tali che per un farmaco occorre spesso attendere dai 10 ai 15 anni dall’avvio delle ricerche per poterlo vedere realmente utilizzato. Ciò comporta costi medi di sviluppo di circa 1,3 miliardi di dollari.

I tempi di approvazione in Italia

Il Regolamento europeo per la ricerca clinica, numero 536 del 2014, prevede che nei Paesi dell’Unione il tempo di autorizzazione per uno studio clinico vada da un minimo di 60 giorni a un massimo di 106, partendo dalla data di sottomissione. Eppure in Italia questi tempi spesso non vengono rispettati per la lungaggine dei processi amministrativi e la presenza di troppi comitati etici, al momento 40 territoriali e 3 a valenza nazionale.

Secondo Federfarma e Fiaso, occorre snellire i processi di approvazione per restare competitivi in Europa e nel Mondo e continuare ad attrarre investimenti. La ricerca clinica porta, infatti, con sé una serie di vantaggi innegabili, a parte quelli di natura economica: per esempio, consente ai pazienti di accedere precocemente a terapie innovative, mentre dalla parte dei ricercatori, offre possibilità di valorizzare le proprie competenze mediche e scientifiche e di crescere dal punto di vista professionale.

Da aggiungere che non tutti i farmaci che entrano in sperimentazione clinica ottengono l’approvazione: a seconda dell’area terapeutica e della natura del farmaco si va da un 7% a un 45%. Vediamo ora gli esiti di una survey condotta da Fiaso nel 2023 su 33 centri di ricerca italiani. 

Come sono distribuiti gli studi in Italia?

Periodo di ricerca della survey, gli anni dal 2019 al 2021. I risultati mostrano una distribuzione ampia, con 330 studi sui farmaci, 60 su dispositivi medici e 500 studi osservazionali. Fiaso è andata anche a indagare gli aspetti organizzativi di questi centri di ricerca, trovando che ben il 42% ha un proprio Clinical Trial Center, nel 24% dei casi inquadrato come struttura complessa e nel 18% come struttura semplice.

Per quanto riguarda il personale, circa il 50% ha personale dedicato, tra study coordinator, data manager e infermieri di ricerca, in numero variabile da 1 persona a 50. Si vede anche che quando manca un Clinical Trial Center il personale coinvolto negli studi è preso nelle singole unità operative e affianca la ricerca all’attività di assistenza.

Infine, Giovanni Migliore presidente di Fiaso afferma che: «la ricerca clinica rappresenta non solo un’opportunità di innovazione, ma è anche cruciale per migliorare l’appropriatezza delle cure offerte ai pazienti e contribuire alla sostenibilità del sistema.

Integrare pienamente la ricerca clinica tra le strategie aziendali è essenziale per garantire un utilizzo efficiente delle risorse. Serve quindi completare presto il quadro normativo per mettere in condizione i centri clinici del servizio sanitario nazionale di attrarre nuovi investimenti e restare competitivi anche a livello internazionale». 

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