L’inizio del nuovo anno è il momento per auguri e propositi. Ci auguriamo (e lo facciamo agli altri) che sia meglio di quello appena chiuso, quasi a volere evidenziare che quello vecchio non ha avuto momenti belli e positivi. Ovviamente proviamo anche a darci obiettivi e a definire cose da fare, sperando di non disattenderle tutte.
Ma è proprio vero che l’anno appena chiuso è stato così “brutto” e senza cose degne di merito e da ricordare? Tutti noi, nella nostra professione, abbiamo contribuito a costruire qualcosa, abbiamo condiviso la missione di curare i pazienti. Qualcuno in modo più diretto e coinvolto, altri – il sottoscritto, per esempio – nelle retrovie, cercando nei limiti del possibile e della propria capacità di supportare chi quotidianamente si confronta con i pazienti.
Quello che abbiamo costruito – grande o piccolo che sia, nuovo o “riciclato”, poco evidente o “grandioso” – è ciò che rende l’anno appena concluso meritevole e degno. E ognuno di noi sa quello che ha realizzato.
E l’anno nuovo? Apparentemente nulla sembra cambiato: sembrano confermati i problemi del nostro servizio sanitario (consiglio la lettura del rapporto OASI, ndr si veda l’articolo alle pagg. 6-8), abbiamo constato quale sia il livello qualitativo del nostro SSN attraverso indicatori più o meno complicati (il PNE di Agenas è un esempio, ndr si veda l’articolo alle pagg. 10-12) e che è sempre bene tenere sotto controllo nonostante alcuni bias (e la percezione completamente diversa che spesso raccogliamo dai nostri pazienti). Abbiamo ambizioni e progetti che sono in continuità con il passato. Questo perché non possiamo nasconderci dietro scuse e dati magari non brillanti: abbiamo competenze, volontà e desiderio di molti per continuare a costruire un servizio sanitario utile e buono per i nostri pazienti.
Allora anche progetti legati a qualità, tecnologie, intelligenza artificiale informatizzazione trovano la loro corretta collocazione e misura e non risultano fine a sé stessi o solo motivo di autocelebrazione.
Rubo le parole a Peguy (dall’opera Il Denaro del 1913):
“Un tempo gli operai non erano servi. Lavoravano.
Coltivavano un onore, assoluto, come si addice a un onore.
La gamba di una sedia doveva essere ben fatta. Era naturale, era inteso. Era un primato. Non occorreva che fosse ben fatta per il salario o in modo proporzionale al salario.
Non doveva essere ben fatta per il padrone né per gli intenditori né per i clienti del padrone. Doveva essere ben fatta di per sé, in sé, nella sua stessa natura”.
L’augurio per l’anno che si apre è di affrontare il nostro lavoro con questo spirito. Ne scopriremo una volta di più il valore e il bello.