Cronicità, responsabilizzare e ampliare la e-health

Allianz Partners ha pubblicato i risultati del suo report States of Mind Health, tracciato basandosi su insight di esperti del settore e sui dati dell’Allianz Partners Customer Lab, database proprietario di informazioni sui consumatori che, per il 2022, interessa 25.000 soggetti in 10 Paesi (Australia, Belgio, Brasile, Canada, Cina, Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Usa). Il focus è la cronicità, come vera pandemia che si sta diffondendo nel mondo.

Le malattie croniche sono, infatti, la principale causa di morte al mondo e anche la fonte primaria della spesa sanitaria: dati OMS riportano, per il 2019, 41 milioni di morti per malattie non trasmissibili a fronte di un totale di 55 milioni. E anche nel biennio 2020-2022, dominato dalla pandemia da Covid-19, sono state le malattie croniche quelle che hanno ucciso di più.

La notizia dovrebbe essere positiva, perché oltre l’80% di queste patologie potrebbe essere prevenuta con l’acquisizione di stili di vita sani, ma non lo è.
Secondo il report, infatti, solo 1/3 degli over 65 interpellati teme di ammalarsi di malattia cronica, mentre solo il 46% è disposto a prendersi maggiore responsabilità della propria salute, agendo in modo proattivo tramite l’alimentazione, l’attività fisica e l’abbandono di abitudini insane. Un quadro tutt’altro che positivo.

Che cosa fare? Paula Covey, Chief Marketing Officer for Health di Allianz Partners, sottolinea che «malgrado i sistemi sanitari di tutto il mondo siano alle prese con le sfide peculiari di questo inverno, non possiamo permetterci di sottostimare l’importanza delle condizioni croniche o dei cambiamenti nelle abitudini e negli stili di vita, perché hanno il potenziale per ridurre molti rischi.
Dobbiamo approfondire la nostra comprensione dei problemi e delle possibili soluzioni alla crisi sanitaria che si va delineando, dando ai pazienti la possibilità di assumersi una maggiore responsabilità riguardo alla propria salute e facendo un uso migliore delle nuove tecnologie ora disponibili».

Covey si riferisce principalmente alla necessità di andare incontro ai pazienti per comprenderne le difficoltà e gli ostacoli che li allontanano da una presa di coscienza rispetto alla propria salute, lavorando a livello locale e di comunità. Agire sui fattori di rischio è complesso, perché questi spesso sono parte dell’identità di un individuo o di una comunità, appunto.

In questo senso, l’e-health potrebbe essere uno strumento molto utile, perché avvicina il cittadino all’istituzione sanitaria in modo semplice, fornendo indicazioni utili, educandolo e consentendo, in alcune sue forme, anche di eseguire un monitoraggio continuo della sua salute. Basti pensare agli smart watch.

Stando ai numeri del report, però, la sanità digitale venga accolta bene soprattutto dai giovani, con un aumento del 22% negli ultimi due anni: è il 66% delle giovani famiglie a orientarsi in questo senso, mentre solo il 39% degli over 65 utilizza già il telemonitoraggio o lo prenderebbe in considerazione.

Eppure, la pandemia ha fornito benzina all’espansione dell’e-health, come dimostra il fatto che prima di questo evento solo il 7% della popolazione utilizzava il teleconsulto, mentre ora si è saliti al 17%. Percentuale ancora bassa, che però racconta un processo di crescita. Secondo il report, è importante che i cittadini capiscano non solo la convenienza della telemedicina, ma anche la sua importanza in termini di accesso alle cure e di supporto alla prevenzione.

Insomma, State of Mind Health ricorda ai sistemi sanitari di tutto il mondo che occorre riformulare il concetto stesso di sanità, per focalizzarlo sempre più sulla prevenzione e su azioni di empowerment della popolazione, uniche leve in grado di ridurre le malattie croniche e alleggerirli.